lunedì 29 giugno 2015

30 giugno: uno spettacolare avvicinamento tra Venere e Giove [aggiornato]

Giove e Venere il 28 giugno 2015
Venere e Giove, i due astri che possiamo ammirare poco dopo il tramonto del Sole, si stanno avviando verso uno spettacolare incontro. Il 30 giugno saranno separati di appena 20 minuti d'arco, ovvero una distanza inferiore di 1/3 al diametro della Luna piena visibile a occhio nudo. Questa sarà anche la minima distanza apparente ai quali li potremo vedere questa stagione. Dopo un veloce "bacio" i due astri si separeranno in modo evidente già nei giorni successivi.

Giove e Venere il 23 febbraio 1999
Sebbene siano nella realtà separati da centinaia di milioni di chilometri, questo avvicinamento, che viene anche chiamato congiunzione (sebbene il termine abbia formalmente un significato un po' più specifico) ce li fa sembrare vicinissimi nel cielo. Ben più brillanti di qualsiasi altra stella, è impossibile non notarli a occhio nudo.

La congiunzione stretta del 30 giugno è seconda solo a quello record del Febbraio 1999, quando i due pianeti si portarono ad appena 9 minuti d'arco di distanza e apparivano simili a uno strano disco volante.



Ecco qui una foto effettuata attraverso il mio telescopio da 235 mm di diametro del momento di massimo avvicinamento. Entrambi i pianeti si potevano osservare insieme fino a 100 ingrandimenti, sufficienti per mostrare la fase di Venere, le 4 principali lune di Giove e i dettagli dell'atmosfera del gigante. Un'emozione indescrivibile, soprattutto se ci si sforza di pensare che quei due puntini in realtà sono mondi distanti decine e centinaia di milioni di chilometri. Fantastico!



giovedì 25 giugno 2015

Osservazioni particolari: stelle con pianeti simili alla Terra



Sono ormai migliaia i pianeti scoperti al di fuori del Sistema Solare, che quindi orbitano attorno ad altre stelle. Impossibile, persino per molti telescopi professionali, vederli direttamente, ma l’idea di poter osservare una stella nella cui immagine è racchiusa anche la debolissima e indistinta luce di qualche pianeta fa venire i brividi. E allora ecco spiegato il senso di questo post, soprattutto ora che la bella stagione è finalmente arrivata: osservare con un binocolo o un piccolo telescopio delle stelle che sappiamo ospitano pianeti, alcuni dei quali molto simili alla Terra. Non sarà un'osservazione esplosiva quanto a dettagli e colori, ma lo diventerà per il significato di quei lontani puntini.

Il primo pianeta extrasolare scoperto è stato 51Pegasi b, un gigante gassoso che orbita attorno alla stella 51 della costellazione del Pegaso. Questo astro ha una magnitudine di 5,49 ed è persino visibile a occhio nudo se abbiamo una buona vista. 
 
Mappa per l’individuazione della stella 51 Pegasi, attorno alla quale orbita il primo pianeta extrasolare scoperto dall’umanità.

Se vogliamo aumentare la portata emotiva, possiamo scegliere un’altra stella attorno alla quale gli astronomi professionisti hanno scoperto un pianeta simile alla Terra, probabilmente ricco di acqua e, perché no, anche di forme di vita. Il sistema Gliese 667 è composto da tre stelle strettamente avvolte, indistinguibili al telescopio. Attorno a uno di questi astri gli astronomi hanno scoperto ben 6 pianeti, uno dei quali sorprendentemente simile alla Terra. Il sistema si trova nella costellazione dello Scorpione e ha una magnitudine pari a 5,89, al limite della visione a occhio nudo, ma qualsiasi strumento, anche il cercatore del telescopio, ce lo mostrerà evidente. 
Dopo aver effettuato lo star hopping partendo da una delle stelle della coda dello Scorpione, riusciremo a inquadrare quel puntino sul quale, chi lo sa, altre forme di vita stanno prosperando e magari osservando nello stesso nostro istante quel cielo così diverso in cui una stellina gialla molto debole nasconde la straordinaria storia di questo pianeta e dei suoi abitanti, pienamente consapevoli delle meraviglie dell’Universo.


Ecco dove trovare il sistema triplo Gliese 667. Attorno a una delle stelle c’è un sistema planetario composto da almeno 6 pianeti. Uno di questi assomiglia molto alla Terra e potrebbe ospitare acqua e forme di vita. Anche questo è l’Universo: una sorpresa dopo l’altra.



lunedì 22 giugno 2015

L'Universo è una meravigliosa macchina del tempo

Fino a questo momento, presi da decine di domande e diversi temi astronomici che ci hanno fatto viaggiare con la mente per miliardi di anni (luce) e probabilmente fatto venire anche un gran mal di testa, non ci siamo in effetti soffermati nel ragionare un po’ su qualcosa che, personalmente, quando l’ho scoperto tanti anni fa mi ha sconvolto e allo stesso tempo stregato così tanto da non essere più riuscito a staccarmi dal cielo stellato.

La teoria della relatività di Einstein nella sua forma contratta (1905) e generale (1916) si basa su un principio messo in evidenza nel diciannovesimo secolo da esperimenti più o meno indiretti e da alcune teorie, come quella dell’elettromagnetismo, sviluppata dal fisico Maxwell. La luce, quindi tutte le onde elettromagnetiche, si propagano nello spazio a velocità finita ed è la massima concessa dalle leggi del Cosmo. Sebbene elevatissima per le nostre vite quotidiane, per le enormi distanze dell’Universo è spesso ben poca cosa.

Quando esprimiamo le distanze in anni luce, non stiamo allora solamente utilizzando un’unità di misura più consona dei chilometri, ma stiamo anche dicendo di quanti anni vediamo nel passato dell’oggetto considerato.
Se una stella distante 10 anni luce inviasse un’onda elettromagnetica, questa viaggerà nello spazio per altrettanti anni prima di raggiungere la Terra, i nostri occhi e i telescopi che tenteranno di osservarla. Quando noi riceviamo l’informazione della stella, quella è ormai vecchia di dieci anni: stiamo quindi osservando l’astro com’era dieci anni prima.

Nell’osservazione dell’Universo quindi, il concetto di tempo e di contemporaneità è molto relativo, senza dover scomodare la teoria della relatività di Einstein.
La galassia di Andromeda, la più vicina, si trova a circa 2,3 milioni di anni luce, quindi noi la stiamo osservando com’era altrettanto tempo fa. Magari molte delle stelle azzurre visibili anche al telescopio non esistono per il tempo di Andromeda, mentre per la nostra linea temporale sono ancora vive e vegete, indistinguibili dalle informazioni provenienti da altri istanti temporali. 

Si potrebbe pensare che tutto questo sia strano e anche un po' deludente, perché stiamo osservando un ambiente che ora potrebbe non essere più così. In effetti è vero, ma è altrettanto vero che ciò che vediamo rappresenta senza dubbio un momento della realtà dell'Universo, che per noi è ora e per Andromeda era reale 2,3 milioni di anni fa. Inoltre, grazie a questa enorme macchina del tempo, noi in quanto scienziati possiamo fare una cosa che molti altri colleghi ci invidiano da morire: possiamo ricostruire l'intera storia dell'Universo semplicemente guardando sempre più in profondità, perché più lontano guardiamo nello spazio più lo facciamo nel tempo. Questa è una cosa incredibile: è come se i geologi potessero osservare con i propri occhi tutte le fasi evolutive della Terra invece di dedurle con i pochi indizi odierni! E' come capire cosa sia successo ai dinosauri affacciandoci da una speciale finestra che ci faccia osservare in tempo reale quei travagliati momenti di oltre 65 milioni di anni fa!

Cambiando il punto di riferimento, le conseguenze dell'Universo come una grande macchina del tempo si fanno ancora più sorprendenti, fino a sfociare nella filosofia.
Se in questo momento ci fossero abitanti di un pianeta a 70 anni luce che riuscissero a osservare la Terra, vedrebbero le terribili vicende della seconda guerra mondiale e i nostri nonni ancora giovani.

Un pianeta a poco più di 200 anni luce osserverebbe la rivoluzione francese e un mondo popolato di persone che per il nostro tempo non esistono più. Un altro a 2000 anni luce potrebbe vedere in diretta le vicende epiche dell’impero romano.

Una galassia distante 65 milioni di anni luce assisterebbe alla cancellazione dei dinosauri.

Infine, un pianeta a 4,6 miliardi di anni luce potrebbe osservare le convulse fasi di formazione del Sistema Solare e della Terra.

Oltre questa distanza, nella nostra direzione apparirebbe una distesa di gas; più lontano ancora, altre stelle. Debolissimi, nascosti, sovrapposti, quasi impossibili da catturare, eppure ci sono: quei raggi di luce non si cancellano mai.


Il nostro tempo qui è limitato, ma tutta la nostra storia continuerà a viaggiare per l’Universo come un lunghissimo nastro che alla velocità della luce mostrerà tutti i momenti, anche i più intimi, che abbiamo vissuto, raggiungendo ogni punto, anche il più sperduto.

Con lo scorrere del tempo il nastro procederà e continuerà ad affidare a delle particelle tanto piccole da essere invisibili, ma così ben organizzate da creare, insieme, una meravigliosa sinfonia di vita, un contenuto preziosissimo. Questi corpuscoli minuscoli, chiamati fotoni, custodiranno e trasmetteranno a tutto l’Universo il ricordo e la vita di ogni essere vivente mai apparso su questo pianeta. Se l’Universo dovesse esistere per sempre, ma non credo proprio, il nastro farà infinite volte il giro, proprio come una nave sulla superficie terrestre. Finché il Cosmo sarà in vita, lo sarà anche il nostro ricordo. 


Per coloro che avranno la fortuna, o la sfortuna, di assistere alle vicende di questo pianeta e della sua allegra combriccola, quello che vedranno sarà il loro presente, la loro realtà. Potranno assistere alla nostra nascita e all’evoluzione continua di una civiltà comunque straordinaria, vissuta per un tempo brevissimo ma mai cancellata dalla memoria del Cosmo.

giovedì 18 giugno 2015

Proviamo a osservare le strane nubi nottilucenti



Bologna, 12 Luglio 2012. Un’anonima notte di mezza estate tipica della Pianura Padana: caldo soffocante, afa, zanzare. Così calda che senza climatizzatore era impossibile dormire e il mio, ormai giunti alle 4 di mattina, stava facendo i capricci. Mi svegliai in un bagno di sudore e dopo le classiche maledizioni, decisi di vestirmi quel poco che bastava per andare sul balcone senza rischiare un’improbabile denuncia per atti osceni in luogo pubblico, a controllare se l’unità esterna funzionasse o meno.

Con gli occhi ancora semichiusi e un caldo reso ancora più esasperato dalla mia rabbia, mi rassegnai al fatto che faceva così caldo fuori che il climatizzatore in camera, pur funzionando, non era in grado di contrastarlo. Con i 28°C che rendevano il mio letto una poco piacevole sauna, decisi di restare un po’ sul balcone a osservare la città che dormiva, il silenzio che regnava e che si alternava con i cinguettii degli uccellini del vicino parco. Se chiudevo gli occhi non facevo fatica a immaginarmi nella mia amata campagna, in mezzo alla Natura.
Dopo poco, però, decisi di riaprirli e di scrutare un po’ il cielo: era più forte di me, non potevo non guardarlo. C’era Giove, ormai sorto da un paio d’ore, sull’orizzonte nord-est e benché non ci fosse Saturno, gli odori e le sensazioni mi fecero ricordare quella fantastica mattina in cui iniziò il mio viaggio astronomico in compagnia dei due giganti gassosi.
Poi, verso nord-est, più spostato verso nord e a pochi gradi dall’orizzonte, vidi uno strano chiarore, anzi, c’erano delle nuvole o della nebbia che sembrava illuminata da una grande sorgente di luce. Eppure, benché le luci artificiali non mancassero, quella luce era strana, era bianca e per di più non l’avevo mai vista. Presi il binocolo e notai che quelle nuvole erano molto particolari: sottili, sfilacciate e illuminate in modo uniforme da qualcosa di cui non si vedeva l’origine al suolo.
Ci misi un po’ di tempo a capire, anche perché la mia latitudine non offriva molte speranze per osservare quello che mi venne in mente, eppure non sembravano esserci più dubbi. Stavo osservando le famose nubi nottilucenti!

Queste sono nuvole molto tenui e sottili che si sviluppano a una quota molto superiore rispetto alle normali nubi, a circa 80 km di altezza, in una zona atmosferica detta mesosfera. La loro origine non è ben chiara, ma probabilmente dovuta all’attività di meteoriti e micro meteoriti che nell'ingresso nell'alta atmosfera fanno da nuclei di condensazione per la poca umidità presente a quelle altezze. Quello che sappiamo è che queste delicatissime nuvole sono stagionali: si creano nell’emisfero nord solo a cavallo del solstizio d’estate e già sul finire di Luglio la stagione volge al termine. Di solito sono ben visibili agli osservatori delle latitudini un po’ più alte delle nostre (dai 50°), gli stessi che possono ammirare con maggior frequenza anche le aurore, beati loro! Tuttavia sono molti i casi in cui sono state osservate anche alle medie latitudini, proprio quelle del nostro Paese. 

Grazie alla loro grande altezza, quando la notte astronomica termina e sta per iniziare il crepuscolo, si rendono visibili perché illuminate dalla luce del Sole, che non è però rossa come quella del tramonto o dell’alba, ma bianca come quella che rischiara i satelliti artificiali. Tra mezz’ora e un’ora dopo il tramonto del Sole, o prima dell’alba, sono gli unici momenti in cui possiamo sperare di osservarle: le nubi nottilucenti sono infatti troppo deboli e tenui per essere viste in pieno giorno o per causare evidenti disturbi alle stelle di notte.
Gli osservatori del nord Italia sono più avvantaggiati per via della maggiore latitudine, ma consiglio a tutti di tentare l’osservazione, almeno per il comodo orario della finestra serale. Se saranno presenti le riconosceremo senza dubbi!

lunedì 15 giugno 2015

Ho mai visto un UFO?



Molti curiosi si staranno facendo questa domanda, alcuni me l’hanno chiesta più volte quando hanno avuto l’occasione di parlare a quattr’occhi con me. Altri, magari i più timidi, cercheranno di negarlo ma alla fine è normale curiosità, quindi non ci sono problemi: tutte le domande sono lecite.
In tutto questo peregrinare per il cielo stellato per venti e passa anni, mi sarà mai capitato di vedere qualche fenomeno che non sapevo spiegare, un bell’UFO come tanti ne trasmette la televisione?
Posso dare due risposte e la prima, mi si perdoni, è un po’ provocatoria ma interessante, se analizzata con mente aperta.
A rigor di logica, anche un moscerino che, povero lui, ha preso fuoco e ci vola di fronte, può essere un UFO se non lo riconosciamo.

Due satelliti iridium, oggetti volanti ben identificati!
Osservando il cielo per tanti anni, studiando, leggendo, frequentando all’università un corso di laurea in astronomia, si costruisce un bagaglio culturale e di esperienza che permette di affrontare in modo distaccato e razionale ogni fenomeno che ci sembra strano nel cielo. E ogni volta, se non si è condizionati da pregiudizi su alieni e astronavi varie, si trova sempre una spiegazione plausibile e supportata da ottime prove. Quindi, sebbene abbia visto a primo impatto fenomeni che non riuscivo subito a spiegare, non c’è mai stato nella mia avventura tra le stelle nessun UFO rimasto tale per più di pochi minuti o al limite qualche giorno.

Tra gli eventi che più mi impressionarono, anche a causa della mia giovane età e scarsa esperienza, ricordo distintamente una palla di luce attraversare lentamente, luminosa quanto Giove, il cielo per poi separarsi in due parti e scomparire pochi secondi più tardi. Quello era un raro quanto spettacolare bolide, avvistato e tracciato nella sua orbita da molti osservatori esperti. Un sasso un po’ più grande dei granelli che generano le stelle cadenti, niente di più, ma che per un paio di notti della mia adolescenza mi fece preoccupare e fantasticare.

Attorno ai 18-20 anni ricordo che nelle serate estive periodicamente comparivano tre punti deboli più della stella polare, che si muovevano in formazione come fossero un oggetto unico. La lucida curiosità mi portò a fare indagini e a scoprire che era una formazione di tre satelliti spia militari la cui orbita, grazie alla loro visibilità, era ormai ben conosciuta a tutti.

Nelle prime fotografie al cielo, scattate senza compensare il movimento della Terra, notavo spesso degli strani puntini che contrariamente alle stelle restavano fissi. Per anni cercai di capire cosa fossero, se erano reali o artefatti delle fotografie. Quei punti comparivamo anche quando iniziai a fare le fotografie al telescopio, ma erano diversi, e allora ebbi l’intuizione. Se seguivo le stelle diventavano delle linee, se smettevo di inseguirle tornavano a essere punti. Con un po’ di fisica di base e l’informazione su siti corretti (non quelli spazzatura che pullulano in rete parlando di alieni e complotti), capii che quelli erano satelliti geostazionari. Sì, stavo vedendo i satelliti di Sky, o quelli meteorologici, che a 36 mila km dalla superficie restano sempre fissi nel cielo perché orbitano con lo stesso periodo con cui il nostro pianeta ruota su se stesso.

A pensarci bene, ci fu una sera nella quale fui convinto di aver assistito a qualcosa fuori dal comune. Frequentavo i primi anni del liceo e la disinformazione della tv italiana in merito a presunti UFO e alieni aveva iniziato a intaccare la mia mente e la mia capacità di giudizio, creando pericolosi pregiudizi che hanno il brutto vizio di farci accettare un evento senza porci delle sensate domande. Così, quando vidi casualmente nel cielo due luci brillanti quasi fisse stazionare sopra casa per qualche ora, pensai a un’astronave. Le inquadrai con il telescopio, le fotografai, le osservai per molto tempo. Sembravano le luci di qualche veicolo vicino, ma non si sentiva nessun suono. Se i media mi avessero insegnato a pensare, ragionare, indagare proprio come la polizia cerca di scoprire il colpevole di un crimine, invece di cercare di farmi il lavaggio del cervello con storie assurde e prive di logica, quella sera avrei potuto capire con le mie forze che quelle luci erano di un dirigibile che stazionò, per un motivo che non ricordo, sopra la città per un paio d’ore. Un dirigibile, non un’astronave! E poi, per quale assurdo motivo avrei dovuto pensare alla cosa più improbabile dell’Universo, quando c’erano migliaia di spiegazioni più semplici, quindi più probabili?

Guardandomi indietro ora mi sento quasi ridicolo, ma non mi vergogno di quanto accadde perché da quella situazione capii quanta disinformazione facevano i mass media, quanto potente potesse essere il loro condizionamento, al punto da farci immaginare una realtà inesistente e, soprattutto, farci desistere dal capire se fosse corrispondente al vero oppure no.
L’annientamento della capacità di ragionare è il potere più preoccupante che il mondo dell’informazione ha su di noi. Con la speranza che l’opera di cancellazione non sia stata portata a termine, apriamo gli occhi e recuperiamo la lucidità necessaria per analizzare tutte le situazioni con spirito critico e logico. Quello spirito che la scuola dovrebbe averci dato e che in ogni caso si può acquisire e allenare con le nostre forze, perché siamo tutti esseri intelligenti.

domenica 14 giugno 2015

Philae si è risvegliato!

Philae, il piccolo lander che lo scorso Novembre ha effettuato con successo il primo atterraggio sulla superficie di una cometa (67P/Churyumov–Gerasimenko), segnando una pietra miliare nella storia dell'esplorazione dello spazio, è tornato a comunicare il 13 Giugno con Rosetta, che ha ritrasmesso il segnale sulla Terra!

Philae, delle dimensioni di una lavatrice, aveva dovuto affrontare un atterraggio più complicato del previsto. A causa della bassissima gravità della cometa e a seguito del malfunzionamento del sistema di ancoraggio che avrebbe dovuto mantenerlo ben saldo sulla superficie, il lander fece un paio di rimbalzi alti centinaia di metri prima di posarsi in un punto ben lontano dal primo atterraggio, e per di più al riparo dalla debole radiazione solare che avrebbe dovuto fornire energia ai suoi pannelli solari.
Le conseguenze furono sconfortanti: la batteria di bordo, dopo poco più di 60 ore, si scaricò, sebbene Philae fosse riuscito a effettuare gran parte degli esperimenti per cui era stato progettato e avesse inviato i dati a Rosetta.

Nessuno, però, nemmeno i tecnici dell'agenzia spaziale europea (ESA), di cui l'Italia è, con orgoglio, uno dei menbri più importanti, si sarebbe accontentato di portare a termine gli obiettivi minimi della missione e di dire addio al piccolo manufatto dopo meno di tre giorni. Purtroppo, la posizione sfortunata ha impedito alla sonda di beneficiare della luce solare sufficiente per uscire dalla fase di ibernazione, nella quale si era immessa per preservare la poca carica residua delle batterie e non morire del tutto.

Per mesi la sonda Rosetta ha cercato di capire dove si fosse posato Philae, e proprio qualche giorno fa arrivò la notizia che, forse, la sua sagoma era stata individuata dalle immagini in altissima risoluzione della sonda madre. Tutto questo, però, è stato travolto dalla notizia del risveglio. Non è stata una sorpresa, perché da mesi si pensava, e sperava, che la maggiore vicinanza al Sole della cometa e la diversa inclinazione dei raggi solari avrebbero potuto illuminare Philae a sufficienza per farlo svegliare.

E così è stato: una comunicazione di 85 secondi, in cui il lander ha inviato alcuni dati relativi anche alla sua salute. Al momento, nella sua posizione sta sperimentando una temperatura di -35°C e ha a disposizione 24 Watt di energia, non tanti, ma sufficienti per farla svegliare dal lungo letargo e accumulare informazioni in merito all'ambiente in cui si trova. E con la cometa sempre più vicina al Sole, la situazione dovrebbe migliorare nei prossimi giorni.

Il lander sembra godere di ottima salute, così buona che sembra si sia risvegliato già da alcuni giorni. Infatti la sua memoria contiente circa 8000 pacchetti di dati che invierà nei prossimi giorni a Rosetta e poi verso la Terra. In pratica, non solo si è risvegliato, ma è già al lavoro da qualche giorno, senza però riuscire a comunicare con la sonda madre.
A noi appassionati e sognatori non resta che rimanere in ascolto, pronti a stupirci dei dati e delle foto spettacolari che arriveranno grazie alla sua seconda, e si spera lunga, vita!

Per approfondire: http://blogs.esa.int/rosetta/2015/06/14/rosettas-lander-philae-wakes-up-from-hibernation/

venerdì 12 giugno 2015

Le meraviglie dell'Universo in uno strumento gigante

Questo post è stato estratto dal mio ultimo libro: "Vent'anni sotto il cielo stellato", disponibile in formato cartaceo ed ebook.



L'osservazione del cielo stellato diventa sempre più bella mano a mano che il cielo è scuro ma, soprattutto, all'aumentare della potenza del telescopio. Nell'ambito astronomico, potenza significa diametro dello strumento: maggiore è la sua apertura, più deboli e dettagliati appariranno gli oggetti celesti.

Gli strumenti che di solito possiamo permetterci ci danno ottime visioni dei pianeti e della Luna e discrete immagini dei cosiddetti oggetti del profondo cielo, vale a dire ammassi stellari, nebulose e lontane galassie.

Nel corso degli anni sono stato assalito dall’irrefrenabile voglia di avvicinarmi sempre di più alle perfette visioni fotografiche con i miei occhi, stregato dal contatto diretto con l'Universo profondo. Le mie povere tasche da studente universitario non mi hanno però permesso di andare oltre uno strumento da 36 centimetri di diametro, che peraltro consente già di avere ottime visioni degli oggetti del cielo profondo.
Nulla però in confronto a quanto ho potuto provare, per ben due volte, grazie a un amico che ha potuto realizzare in modo spettacolare un grande sogno: costruirsi un telescopio, anzi, un enorme binocolo, così grande da permettere ai nostri occhi di vedere dettagli molto simili a quelli delle fotografie astronomiche (colore escluso). E grazie alla sua estrema cordialità, l'Universo diventa alla portata di tutti. L'unica cosa richiesta? Voglia di meravigliarsi. Nient’altro.

La prima volta che vidi il leggendario binodobson di Andrea Boldrini, un mega strumento composto da due telescopi di ben 60 centimetri di diametro l’uno, era l'estate del 2012 dal rifugio di ogni appassionato di astronomia del centro Italia: Forca Canapine.
Rimasi esterrefatto di fronte alla mole dello strumento, alto circa tre metri e largo quanto una piccola utilitaria. Mi avvicinai timido e intimorito, e mentre cercavo di trovare il coraggio di chiedergli se avessi potuto metterci gli occhi dentro, fu lui ad anticiparmi e a invitarmi alla vera festa delle stelle che si stava svolgendo proprio lì.
Salii un po' spaventato sulla scala che portava fino verso la cabina di pilotaggio di quella potente astronave cosmica. Dopo le indispensabili indicazioni del comandante potei volare libero verso il cielo sconfinato. Fu l'inizio di un nuovo amore per l'Universo, perché lì dentro, non so davvero come dirlo, c'erano cose che pochi umani avevano visto. Al centro del grande campo si stagliava nitida la sagoma inconfondibile della nebulosa Velo, ciò che resta di un'antica esplosione di una stella molto più grande del Sole. È uno degli oggetti più fotografati ma poco osservati, perché richiede cieli scuri, telescopi di buon diametro e una discreta dose di immaginazione per tracciare gli indistinti contorni di quei filamenti gassosi dispersi nello spazio. È così evanescente che spesso richiede filtri particolari, e in ogni libro di astronomia pratica è sottolineato quanto sia difficile osservare la sua tenue immagine.
Niente di tutto questo mi aspettava all'oculare e niente poteva prepararmi a quello che stavo per vedere. Fluttuanti nello spazio aperto si stagliavano delicati ma contrastati i deboli filamenti di gas interstellare, i pezzi di quell'antica stella, meglio di qualsiasi fotografia. E quando il comandante mi consegnò la console di controllo dell'astronave e mi disse: “Navigaci” mi sentii la persona più felice di questo mondo perché stavo davvero esplorando una magnifica zona cosmica che a ogni movimento mi rivelava sempre nuovi dettagli, nuove sfumature, nuove emozioni.
Ricordo e ricorderò per sempre quell'osservazione dell’ammasso di Ercole, che mi regalò la visione di tutte le circa 500 mila stelle che lo popolano; la tenue sagoma della nebulosa ad anello, una fotografia di come sarà il nostro Sole tra poco più di 5 miliardi di anni. Passai di fianco alle distese gassose della nebulosa planetaria M27, mi imbattei nelle intricate trame che mai avrei pensato di vedere della nebulosa Crescent. E cosa dire di M17, la nebulosa Cigno (o Omega)? Non potevo non assistere al miracolo della nascita di migliaia di stelle da un’immensa distesa di gas, tanto luminosa e contrastata che mi sembrava di vederla in tre dimensioni.


Ok, questa è una foto che ho scattato con il mio telescopio, ma sono pronto a giurare che M13, nel binodobson di Andrea Boldrini, si vedesse proprio così. E chi ha bisogno, allora, di fare fotografie?

 Spesso ho sognato quella fantastica serata ma impegni universitari e lavorativi mi hanno tenuto lontano da quel cielo e dal mastodontico binodobson per più tempo di quanto fossi disposto ad aspettare.
Poi, per caso, la sera del 19 Dicembre 2014 le previsioni meteo erano buone e un paio di amici della mia associazione mi convinsero a tornare sotto quel cielo scuro. Mai, però, mi sarei aspettato che sul piazzale freddo e deserto ci fosse anche Andrea e il suo incredibile binodobson. Avrei potuto realizzare qualcosa che mi frullava per la testa sin da quella lontana serata: osservare con quel gigante la galassia di Andromeda e la nebulosa di Orione, due oggetti già spettacolari con piccoli telescopi e che avrebbero riservato chissà quale sublime visione attraverso quella stupenda astronave.
Fu in questo modo che una serata improvvisata all’ultimo momento si trasformò in una nuova, appassionante festa delle stelle, nella quale condividere le emozioni del cielo, sia quello, bello, a occhio nudo ma soprattutto quello che avremmo potuto osservare a bordo del binodobson.

Andrea ben sapeva che la star della serata, la grande nebulosa di Orione, ci avrebbe rapito, così come rapì lui che non poteva più fare a meno di osservarla ogni volta che la vedeva sopra l'orizzonte. Questa, però, 
era ancora troppo bassa sull'orizzonte e sarebbe stata la parte finale di un tour che iniziò dagli oggetti estivi ormai al tramonto, come la già vista nebulosa Velo, e gli ammassi globulari M15 e M13 (di Ercole) tutti spettacolari, proprio come me li ricordavo.

Il primo grande e nuovo sussultò arrivò dalla galassia a spirale M33, famosa per essere molto estesa (più della Luna piena) ma al contempo troppo debole e avara di dettagli. Bene, in quell'astronave mi fece restare a bocca aperta e con me tutti i compagni di avventura. Ben evidenti i tenui bracci di spirale su cui spiccavano ogni tanto delle condensazioni di forma sferica. Incredibile ma vero, stavo osservando nebulose di un'altra galassia, a 2,5 milioni di anni luce da noi. Stavo vivendo, in quel momento, uno spettacolare viaggio attraverso un Universo che per la prima volta potevo riuscire a comprendere quanto fosse vasto.
Quei tenui bracci di spirale, quasi tridimensionali nel buio del cielo, potevano sembrare una tipica opera di pittura astratta, ma quando si ha la consapevolezza che sono un disegno cosmico immenso, costituito da decine di miliardi di stelle poste così lontano da non poter immaginare, allora tutto cambia e dentro esplodono sensazioni ineguagliabili. Sarei restato per ore su quella girandola cosmica. L'unico modo per farmi scendere dalla scala e lasciare le redini dell'astronave al comandante fu la promessa di puntare la galassia di Andromeda, che si preannunciava ancora più spettacolare.


M33 al telescopio si mostrava per quella che era: una stupenda galassia a spirale ricca di stelle giovani e gigantesche nebulose. Mai vista così!
 
Pochi minuti di viaggio, giusto per permettere all’esperto comandante di fare le delicate manovre di avvicinamento, poi egli ci avvertì dell'arrivo nei pressi di quell’isola di stelle. Non con uno sterile comunicato come quello dei comandanti di un aereo, ma attraverso un’esplosione di aggettivi che tentavano di descrivere la bellezza del panorama che stava osservando.
Bellezza che riuscii a comprendere solo quando misi gli occhi agli oculari. Il nucleo della galassia di Andromeda era lì, brillante come mai l'avevo visto. Ma non era questa la caratteristica che cercavo. Estesa ben oltre il campo inquadrato dallo strumento, cominciai a spostarmi navigando con prudenza alla ricerca di quei dettagli che la fotografia cattura con estrema facilità, ma che nessun telescopio di noi comuni appassionati ci ha mai mostrato. Ed ecco che laddove tutti i telescopi usati mostravano nient’altro che il nero del cielo, quell’astronave mi portò vicino al punto da riuscire a farmi vedere quello che cercavo: i bracci di spirale. Zone più chiare e più scure, mescolate in modo perfetto, sembravano non terminare più. Le due galassie satelliti erano così grandi ed evidenti che per un attimo scambiai una di queste (M110) per il nucleo di Andromeda.
Viaggiando ben più veloce della luce verso periferie della galassia, ecco che nel braccio più esterno comparve quella che sembrava una nuvola indistinta, ma che a uno sguardo più attento rivelava centinaia di deboli stelline: si trattava dell'ammasso aperto NGC206, situato in uno dei bracci di Andromeda e che non solo era evidente, ma mostrava le singole stelle.
Un momento di silenzio, perché quella era una visione memorabile: stavo osservando la luce di centinaia di stelle distanti 2,3 milioni di anni luce, qualcosa come 23000000000000000000 chilometri! Non solo, ma la luce che stavo osservando era vecchia di 2,3 milioni di anni e lasciò la galassia di Andromeda quando qui sulla Terra non esisteva ancora quasi nessuna traccia degli esseri umani.
Molti di quegli astri che stavo osservando non esistevano più, ma per noi sulla Terra erano e sono tutt'ora reali. E allora è meraviglioso pensare che tutto quello che facciamo, anche nelle più piccole cose, viaggerà nell'Universo alla velocità della luce e per qualcuno, anche milioni o miliardi di anni dopo che sarà accaduto, si fonderà con il presente. Le nostre vite e le nostre azioni vengono registrate su un lungo nastro che alla velocità della luce percorrerà tutto l'Universo, senza mai perdere memoria di quello che è stato, chissà quanto tempo prima.


A sinistra, il frastagliato centro di Andromeda, a destra l’ammasso aperto osservato in uno dei suoi bracci. Al binodobson si vedevano così!
Perso come un ragazzino che per la prima volta si sentiva innamorato alla follia, non mi resi conto di quanto tempo passai fantasticando su quella splendida galassia, al punto che il comandante mi comunicò che il momento tanto atteso era forse arrivato: potevamo andare sulla nebulosa di Orione. “Ma ti avverto” disse con aria divertita e orgogliosa, “Se la galassia di Andromeda ti è piaciuta così tanto, preparati a quello che vedrai sulla nebulosa di Orione. Non puoi immaginare, è qualcosa che toglie il respiro”.
Non ricordo molto bene il momento tra questa sua frase e l’attimo in cui i miei occhi hanno visto la cosa più bella di sempre. Ho dei flash che ogni tanto compaiono un po’ sconclusionati. Ad esempio, ricordo che per primi osservarono Federico e Giovanni e che rimasero senza parole. Increduli, nonostante ormai decine di serate osservative, nonostante aver visto la nebulosa di Orione tante volte con strumenti più piccoli, nonostante in cuor loro sapessero che avrebbero assistito a uno spettacolo mai visto. Eppure, come sempre dovrebbe accadere, non si è mai preparati a qualcosa che non si è mai visto né vissuto. Ed è proprio questo il segreto per vivere al massimo la vita e tutte le belle sorprese che da essa possiamo trarre. Perché se tutto fosse prevedibile e ogni cosa potessimo immaginarla già prima di affrontarla, sarebbe davvero una noia mortale. E invece, le emozioni più belle sono quelle che non si possono immaginare prima di viverle.
Quando venne il mio turno, il cuore mi batteva forse più forte della mia prima cotta, più che il giorno della laurea, più che in ogni altra situazione. Anche perché stavo per vivere emozioni ben al di fuori del confine piccolo e protettivo di questo mondo; stavo per affrontare sensazioni che avrebbero disgregato il limite terreno e si sarebbero scatenate nel luogo più vasto e meraviglioso che esista: l’Universo.
Afferrate le aperture del super telescopio e messi gli occhi agli oculari, non vidi subito la nebulosa. La tecnica, suggerita da Andrea, era infatti quella di spostare lo strumento di poco e navigare poi a vista verso di essa, scoprendola poco a poco.
Così al comando di quell’astronave cominciai a viaggiare velocissimo tra le numerose stelle nel campo, cercando la rotta per la nebulosa. A un certo punto un lieve bagliore mi suggerì che c’ero vicino. Mi fermai, feci un gran respiro e mi spostai veloce in quella direzione per far entrare la sua luce prepotente nel campo, fino a riempirlo tutto. E fu l’apoteosi. Persino ora, mentre sto scrivendo queste righe, non vedo le parole scorrere ma riesco ad accarezzare quelle delicate e dettagliate regioni soffici come la seta. Molto meglio di qualsiasi fotografia, perché gli occhi hanno maggiore dinamica, quindi consentono di avere una visione inarrivabile da qualsiasi altro dispositivo.
Al centro il trapezio luminoso ma non sovraesposto, era contornato da una nebulosa estesa quanto le migliori foto, ma con la delicatezza unica che solo l’occhio umano può restituire. Era senza alcun dubbio la visione più bella di sempre, non solo riguardo all’astronomia, ma rispetto a tutto quello che avevo visto e che, forse, mai vedrò. Mi persi con l’immaginazione tra le piccole nuvolette simili a tante pecorelle della zona centrale. Mi spostai lungo le ali, che proprio come avevo teorizzato in un articolo sui colori delle nebulose, apparivano rosate a causa del contrasto con la regione centrale verdina. In realtà erano grigie, ma il colore, di fronte a quei chiaroscuri così reali e vicini, era l’ultima cosa che mi interessava.
Avevo davanti a me un’immagine statica, ma nella mia mente non lo era affatto. Stava a me farla muovere, viaggiando con la fantasia e l’immaginazione. E al contrario della televisione, che ci dice quali sono le immagini che dobbiamo vedere senza darci l’opportunità di pensare, qui, Signori, siamo noi a comandare il gioco e a rendere una tale bellezza il Ricordo da non dimenticare mai più nella vita.
Quella sera restai più di dieci minuti a volare sopra Orione e non mi sarei mai stancato di farlo. Quella fucina di stelle ha un fascino unico, quasi stregato, del quale non si può più fare a meno. E tornato a casa, con il cuore pieno di gioia, iniziai a contare i minuti che mi separavano dalla successiva osservazione.

 

Ci ho messo un po’, ma alla fine credo di esserci riuscito. Ho manipolato una delle mie immagini della nebulosa di Orione e questo è l’aspetto più vicino a ciò che ho visto all’oculare del binodobson, con il vantaggio di avere un ingrandimento maggiore di quello della foto.

Quel telescopio dovrebbe essere patrimonio dell’umanità; è una finestra migliore di qualsiasi astronave, che può farci capire davvero quale sia il nostro posto nell’Universo, quali sono le grandezze, le priorità, i veri problemi in gioco e quanto stupide e superficiali siano condotte a volte le nostre vite. Viviamo troppo poco per poterci permettere di perdere tempo in cose effimere. Ma come fare a capire se qualcosa per noi è effimero o no? È semplice e forse l’ho già detto: se il suo ricordo sopravvive immutato per mesi e addirittura anni, allora avremmo vissuto un’esperienza unica, altrimenti la nostra mente, ben più furba della parte che usiamo per sopravvivere, ce l’avrà già fatto dimenticare già pochi giorni dopo.
Le vere emozioni si possono provare anche solo una volta nella vita, non importa: è il loro ricordo a durare per sempre e a renderci felici e appagati per questa straordinaria esistenza.

lunedì 8 giugno 2015

Tante novità per l'estate!

L'estate è il periodo migliore per portarsi dietro un libro da leggere nel tempo libero, sia se si preferisce la carta che un lettore ebook.
Ecco allora che per l'incombente stagione estiva ho creato delle interessanti novità, sperando di fare cosa gradita.

1) Due nuovi libri facili da leggere e appassionanti, adatti a giovani e adulti. Il primo: "La spettacolare vita delle stelle" affronta con linguaggio semplice l'incredibile avventura delle stelle dell'Universo, dalla loro nascita alla morte, a volte violenta e spettacolare. Il secondo: "Vent'anni sotto il cielo stellato" racconta i miei primi, indimenticabili, vent'anni di astronomia, inseguendo emozioni fortissime fino in capo al mondo, con tutti i rischi che ne sono conseguiti.

2) Un'edizione aggiornata e corretta dai piccoli refusi, che inevitabilmente ci sono sempre, di "Sulle spalle di un raggio di luce", ora chiamato "Attraverso l'Universo, sulle spalle di un raggio di luce" in cui un padre affronta un immaginario viaggio con proprio figlio e cerca di spiegare tutti i grandi temi dell'astronomia, mostrando come influiscono sul nostro essere e sulle nostre azioni.

3) Tutti i volumi digitali di "Astronomia per tutti", il mensile conclusosi nei primi mesi del 2014, che raccoglie estratti dei miei libri in un percorso trasversale attraverso l'astronomia pratica e teorica, sono in offerta a 0,99 euro ciascuno, il prezzo di un caffè!

4) Se desiderate una lettura più impegnativa, è finalmente disponibile in formato ebook "Come rilevare esopianeti con il proprio telescopio", l'unico libro in lingua italiana che guida passo passo gli astrofili nello studio, ricerca e scoperta di pianeti attorno ad altre stelle.

giovedì 4 giugno 2015

Le strane stelle di neutroni



Come un grattacielo che implode su se stesso lascia delle macerie, anche il nucleo di ferro di una stella massiccia che cede (gli astronomi dicono implode) deve finire da qualche parte e trasformarsi in qualcosa.
Se questo non è molto più grande del Sole, si forma un oggetto davvero strano, più delle nane bianche. Grande circa 20 km (sì, 20 chilometri!), quindi come una grande città, il nucleo è diventato una stella di neutroni, o una pulsar, a seconda dell’angolo con cui la osserviamo da Terra.
In ogni caso siamo di fronte all’oggetto più denso che la nostra mente e l’Universo possano concepire: in uno spazio di una città, è compressa una quantità di materia pari ad almeno una volta e mezzo quella del Sole. E per di più è caldissima, con una temperatura iniziale superiore a un miliardo di gradi!

Per capire quanto sia concentrata una stella di neutroni, immaginiamo di prendere la Terra e comprimerla in una biglia di pochi centimetri di diametro, diciamo una pallina da pingpong sfera di pochi metri di diametro, diciamo una quarantina. Sembra assurdo, ma questi sono gli effetti della forza di gravità quando è generata da oggetti così grandi e con così tanta materia come lo erano le stelle che hanno concepito questo corpo celeste talmente particolare.

Un cucchiaino di materia di una stella di neutroni peserebbe sulla Terra circa 100 milioni di tonnellate, cioè come 100 milioni di automobili poste l’una sull’altra! È impossibile avvicinarsi a una stella di neutroni e raccoglierne un pezzo, anche perché non riusciremmo più a ripartire con la nostra astronave, vista l’enorme forza di gravità nelle sue vicinanze. Se riuscissimo comunque a riportare un cucchiaino di materia qui sulla Terra, sarebbe così pesante e concentrata che probabilmente sprofonderebbe fino al centro del nostro pianeta, perché nessuna superficie solida potrebbe sostenerla.

La densità delle stelle di neutroni è la massima consentita dall’Universo e il motivo è spiegato nel loro nome. I neutroni, infatti, sono delle particelle che costituiscono gli atomi, gli aggregati fondamentali della materia. Ogni atomo possiamo pensarlo formato da un nucleo molto piccolo contenente particelle chiamate protoni, e a volte proprio i neutroni, attorno al quale orbitano delle particelle ancora più piccole chiamate elettroni. Ogni elemento che conosciamo è composto da atomi ma non sono di certo concentrati come una stella di neutroni. In effetti, scopriamo un’altra cosa sorprendente della Natura. Oltre il 99,99% dello spazio di un atomo è semplicemente vuoto! Le particelle che compongono il nucleo, e gli elettroni che gli ruotano intorno, sono estremamente piccole e concentrate, così che ogni atomo, quindi la materia normale, è molto più leggera e meno concentrata di queste ed è di fatto per il 99,99% vuota!
Per fare un confronto con numeri più familiari, possiamo immaginare le particelle che compongono il nucleo atomico grandi come una pallina da tennis; bene, la distanza alla quale l’elettrone orbita attorno al nucleo sarebbe allora  pari a circa 250 metri! In mezzo, il nulla.

Nelle stelle di neutroni la forza di gravità comprime così tanto gli atomi che trasforma quasi tutte le particelle in neutroni e li avvicina fino a eliminare lo spazio vuoto che li avrebbe distanziati in una situazione normale. A questo punto la concentrazione diventa uguale a quella di queste particelle. E allora, da completamente estranee a qualsiasi nostra immaginazione, le stelle di neutroni sono una cosa abbastanza normale: un gigantesco nucleo atomico, almeno una parte di esso, la cui densità è proprio uguale a quella di queste particelle.

Come se non bastasse, i neutroni, così tanto comuni nella materia (tutti gli elementi hanno neutroni nel nucleo, a eccezione della gran parte dell’idrogeno) in realtà hanno un’altra, sorprendente proprietà: possono esistere in condizioni normali solo all’interno degli atomi. Se un neutrone si liberasse dal nucleo e decidesse di esplorare da solo lo spazio, come peraltro fanno spesso gli elettroni che già a poche migliaia di gradi di temperatura si separano dagli atomi, andrebbe incontro a un destino senza scampo. I neutroni liberi, infatti, possono sopravvivere per circa 15 minuti.
La Natura ha deciso che se un neutrone non trova un nucleo atomico nel quale ripararsi entro 15 minuti si trasformerà in un elettrone, un protone e un’altra strana particella chiamata antineutrino. Questa regola vale per tutte le situazioni, eccetto una.

Le stelle di neutroni, allora, sono l’unico luogo dell’Universo in cui possiamo trovare neutroni liberi dai vincoli dei nuclei atomici e in ottima salute, senza che questi corrano il rischio di trasformarsi in altre particelle.
Quindi, possiamo osservare la realtà da un altro punto di vista e chiederci: è più strano pensare che la materia che conosciamo, compresa la nostra pelle, sia fatta per quasi il 100% da spazio vuoto e da particelle, come i neutroni, che libere non hanno vita lunga, oppure che esistano luoghi popolati da neutroni in ottima salute, così compressi da aver eliminato il vuoto presente negli atomi che formano la materia normale? La risposta esatta non esiste, ma una cosa è certa: le nostre idee dipendono molto spesso da punti di vista che non riescono a vedere in modo completo la realtà. Ecco perché prima di dare dei giudizi è consigliabile conoscere bene la situazione che stiamo per giudicare, osservandola magari da diversi punti di vista, non solo quelli per noi più convenienti.

lunedì 1 giugno 2015

Quante Terre tra i pianeti extrasolari?



Nel 2007, quando scoprii il transito di un pianeta extrasolare, i pianeti scoperti erano ancora poche centinaia e il nostro, HD17156b, era il più particolare. In pochi anni le cose sono cambiate radicalmente, grazie anche a missioni dedicate a questo importantissimo campo della ricerca, tra cui spicca il telescopio spaziale Kepler, che ha individuato migliaia di nuovi pianeti in transito.

Si vedono a fatica ma ce ne sono molte...
Nel 2015 sono più di 3000 i pianeti individuati. Molti, a causa dei nostri limiti tecnologici, sono giganti gassosi simili a Giove che orbitano a distanze molto ravvicinate dalle proprie stelle. Altri sono ancora più peculiari: ci sono pianeti fatti per il 30% di diamante, pianeti che orbitano attorno a due o più stelle, pianeti che stanno evaporando, altri che possiedono anelli centinaia di volte più estesi di quelli di Saturno e altri ancora che vagano nello spazio senza avere una stella attorno alla quale orbitare. Dal momento della prima scoperta, nel 1995, la nostra visione dei pianeti dell’Universo è cambiata drasticamente, sia per quanto riguarda il loro numero che per le loro proprietà.

Si pensa che solo nella Via Lattea ci siano qualcosa come 100 miliardi di pianeti; qualcuno afferma addirittura che potrebbero essere più numerosi delle stelle.

Per migliaia di anni l’uomo si è posto domande sulla loro esistenza, senza però averne le prove. Il ragionamento, se si accetta un principio fondamentale, è semplice. L’Universo è un luogo immenso che funziona sulla base di poche e ferree leggi fisiche che non ammettono eccezioni. Se attorno al Sole, che è una stella normalissima, fatta dei materiali più abbondanti del Cosmo, ci sono dei pianeti, composti anch’essi da materia straordinariamente comune, perché questi corpi celesti non dovrebbero riempire le galassie come delle piccole formiche popolano una grande foresta?
Ci sono voluti migliaia di anni di evoluzione tecnologica per provare questa affermazione filosofica, a testimonianza che la nostra mente, se libera da condizionamenti, corre molto più veloce di qualsiasi altra cosa e potrebbe farci fare scoperte straordinarie, ben prima di poterle persino confermare.

Tanti, tantissimi pianeti; e allora, ce ne sono alcuni simili alla Terra? Sì, e si crede che siano tra i corpi più abbondanti. Nonostante i nostri limiti tecnologici ci impediscano ancora di trovarli tutti, già ne conosciamo una ventina che hanno caratteristiche molto simili, se non addirittura migliori, rispetto al nostro pianeta.
Corpi celesti rocciosi, alla giusta distanza dalle proprie stelle, che con tutta probabilità hanno acqua liquida in superficie e forse persino forme di vita più o meno complesse.

Benché ancora in gran parte invisibili, le nostre statistiche ci dicono che un pianeta simile alla Terra è così frequente nella Via Lattea, che la probabilità di incontrarne uno entro una sfera dal raggio di 10 anni luce è del 94%! Dieci anni luce, a confronto con l’estensione della Via Lattea di circa 100 mila anni luce, sono come per noi il pianerottolo di casa. Ecco allora che solo nella Via Lattea i pianeti gemelli del nostro potrebbero essere, nella peggiore delle ipotesi, decine di milioni. Nella migliore, miliardi.

In questo spazio nero, vuoto e totalmente silenzioso chiamato Universo, abbiamo troppo spesso l’impressione di essere soli, ma è probabile, invece, che condividiamo da miliardi di anni l’avventura della vita con tante altre specie, curiose, sognatrici e silenziose, che forse si stanno ponendo ora le nostre stesse domande.

Per un approfondimento: http://phl.upr.edu/