martedì 29 settembre 2015

Come si diventa astronauti?



Diventare astronauti è forse la cosa più difficile da realizzare nella propria vita.
Non è necessario essere astronomi professionisti e aver affrontato un lungo percorso di studi, anzi, astronomi e astronauti non hanno quasi nulla in comune.
Prima di tutto serve una laurea scientifica o in ingegneria. Ma questo è solamente l’inizio. Un addestramento militare, specialmente nell’aeronautica, è molto ben visto e garantisce degli indubbi vantaggi: se oltre il 50% degli astronauti sono ufficiali o ex ufficiali dell’esercito non può di certo essere un caso. In alternativa è consigliabile non limitarsi a una laurea di primo livello ma affrontare tutto l'iter per raggiungere la massima istruzione: laurea magistrale prima e dottorato poi. In questo modo si parte di certo avvantaggiati.

Una volta in possesso di questi requisiti di base, bisogna aspettare l’uscita di un concorso.
Se abbiamo cittadinanza Italiana o europea, possiamo partecipare solamente ai concorsi indetti dall’agenzia spaziale europea. Alle selezioni dell’agenzia americana, la NASA, possono partecipare solamente cittadini americani.

Generalmente il concorso per diventare astronauti si svolge una volta ogni diversi anni, 5 o forse anche 10 e riguarda, naturalmente, tutti i cittadini europei in possesso dei requisiti minimi.
La concorrenza, inutile dirlo, è agguerrita. Dei migliaia di candidati solamente pochi, meno di dieci, verranno selezionati.
Come se non bastasse, ogni paese ha una quota massima di astronauti. Nel concorso tenutosi nel 2009 al nostro paese spettavano solamente due posti.
Le prove da superare durante il concorso sono di cultura generale, psichiche e fisiche. Per essere astronauti non bisogna essere dei geni o dei superuomini dotati di abilità fisiche fuori dal comune ma in ogni caso servono persone in gamba e molto determinate.
Ma come ogni sogno che si rispetti, non è ammissibile considerarsi perdenti prima ancora di iniziare. Provare non costa nulla, rinunciare in partenza porterebbe solamente rimpianti per tutto il resto della nostra vita.

Per approfondire, questi sono i consigli della NASA e questi quelli dell'ESA che tra l'altro specifica che in questo monento non si cercano nuovi astronauti. Poco male, abbiamo tempo per prepararci nel migliore dei modi per il prossimo concorso! Se consultando questi link avete pensato "cavolo, sono in inglese" allora avete già trovato il punto di partenza per costruire la vostra preparazione. Conoscere l'inglese come e meglio della propria lingua madre è un requisito minimo, davvero minimo.

giovedì 24 settembre 2015

Una grande lezione di vita dalle stelle



L'osservazione dell'Universo e in particolare la comprensione dell'evoluzione delle stelle, ci insegna che qualsiasi astro ha una fine. È vero, le stelle meno massicce vivranno forse più dell’Universo stesso, ma se questo finisce si trascina con sé tutti i suoi abitanti, anche se avrebbero potuto vivere quasi per sempre. A prescindere dai complicati problemi astrofisici, da questi esempi possiamo trarre un'importante lezione di vita. Nulla nell’Universo è per sempre. Il concetto di immobilità, quindi di qualcosa che duri per l’eternità, non esiste tra le regole che governano il funzionamento di un ambiente che abbiamo scoperto essere molto, molto, molto più grande, esteso e complicato del piccolo pianeta sul quale noi minuscoli moscerini ci ritroviamo a vivere. Nulla nell’Universo vive in eterno, nemmeno l’Universo stesso. Ma nulla nell’Universo muore, nemmeno l’Universo stesso. 

L’Universo, infatti, proprio con l’avventurosa vita delle stelle, ci ha insegnato qualcosa di incredibile sul concetto di morte. La morte, infatti, non esiste. Se nulla dura per sempre è altrettanto vero che niente scompare dalla faccia dell’Universo perché tutto si trasforma, in continuazione.

Tutte le stelle dal momento in cui nascono sanno che quella loro condizione di astri splendenti non è destinata a durare per sempre, ma sanno anche di far parte di un ciclo, un ciclo enorme, lunghissimo, che coinvolge tutto l’Universo e che nessuno può fermare. Un ciclo che comunque le vede protagoniste perché la trasformazione al termine della loro vita sarà nuova vita per altre generazioni di stelle o per esseri intelligenti come noi.

L’Universo, allora, proprio con il ciclo delle stelle ci insegna anche qualcos’altro, che potremmo applicare nella vita di tutti i giorni per affrontarla al meglio, nel rispetto di noi stessi e degli altri.
Le stelle si formano dalla materia presente nell’Universo. Compiono il loro ciclo vitale, producono molti elementi che all’inizio non esistevano e poi restituiscono di nuovo quasi tutto il materiale all’Universo. Quello che per loro era materia da scartare, non più utile al loro ciclo vitale, diventerà preziosa fonte per molti altri oggetti: per successive stelle, per i pianeti, per gli esseri viventi. Nulla va sprecato, perché nulla deve essere sprecato.

E allora noi, in tutto questo, non siamo altro che materia stellare presa in prestito per un centinaio d’anni, giusto per dare all’Universo la soddisfazione che in questo spazio sterminato e in gran parte buio c’è qualcuno che può ammirare lo spettacolo così perfetto che ha creato. E c’è davvero di cui essere orgogliosi, perché tra miliardi di miliardi di oggetti inanimati che non possono pensare, noi, piccoli esseri, abbiamo questo inestimabile dono. Siamo gli ambasciatori stessi dell’Universo, un ruolo che non sappiamo ancora quanti altri esseri su altri pianeti abbiano. Un giorno questi atomi coscienti che formano la nostra mente e i nostri pensieri ritroveranno la strada dello spazio e ricominceranno a viaggiare per tutta la Galassia, per l’Universo, pronti a iniziare una delle mille nuove avventure che li aspettano. Forse non si ritroveranno più tutti insieme come lo sono ora, ma di certo nel loro lunghissimo viaggio, all’interno di qualche nuova stella o pianeta, saranno orgogliosi di avere una storia in più da raccontare nel loro incredibile peregrinare cosmico. Potranno portare con sé il ricordo di un tempo lontano in cui potevano leggere, imparare, amare, sognare, capire il mondo che li circondava. Quanto è straordinario tutto questo? Miliardi di atomi inanimati che insieme formano un unico essere cosciente. E allora, a maggior ragione, gli atomi del nostro corpo meritano una vita così straordinaria da poterla ricordare con orgoglio per miliardi e miliardi di anni.

Non sprechiamo questa occasione concessa dall’Universo, cerchiamo di vivere al massimo coltivando sogni e passioni e combattendo ogni giorno per fare quello che più ci piace. Esploriamo, scopriamo, amiamo, sogniamo inventandoci traguardi e sfide che sembrano impossibili, ma che in realtà non lo saranno mai. Non poniamoci alcun limite, non lasciamoci influenzare dalle altre persone e non accontentiamoci di sopravvivere facendo cose che non ci piacciono. Gioiamo della vita in ogni sua sfumatura e impariamo a far tesoro anche delle sconfitte e dei momenti difficili, perché da questi potremo capire la giusta strada da seguire per raggiungere i nostri sogni. Lo dobbiamo a noi stessi e a questi atomi così preziosi di cui siamo fatti, che si aspettano un’avventura all’altezza di quelle già vissute.

E in effetti, anche se noi non lo ricordiamo, ogni atomo del nostro corpo ha già viaggiato per miliardi di anni, milioni di anni luce e ha visto cose che nessuno di noi può immaginare. Ha solcato i mari cosmici passando dai tumultuosi nuclei delle stelle ai più freddi e desolati luoghi dell’Universo, godendosi panorami straordinari, viaggiando a migliaia di chilometri al secondo e ammirando l’Universo che evolveva. Ha osservato la nascita di tante stelle e chissà quanti pianeti; si è scambiato idee ed energie con altri atomi provenienti anche da altre galassie ed ha assistito a cambiamenti epocali dell’Universo e della nostra Galassia. Gli atomi di idrogeno dell’acqua del nostro corpo si sono generati addirittura pochi minuti dopo la nascita dell’Universo, 13,8 miliardi di anni fa, e sono ciò che di più antico potremmo mai osservare. Rocce terrestri, fossili, monete antiche; in realtà per trovare qualcosa di antico, antichissimo, basta guardarci una mano o ammirare stupefatti l’acqua di una normale bottiglia. Nessun processo stellare produce atomi di idrogeno, quindi qualsiasi molecola o materiale che lo contiene custodisce la materia più antica dell’Universo, formatasi quando questo era più piccolo del nostro Sistema Solare e molto diverso rispetto ad ora.

Se ogni atomo del nostro corpo potesse parlare, saprebbe raccontare la storia dell’Universo molto meglio di qualsiasi uomo che vivrà mai su questo pianeta. Non ricordare non significa non aver vissuto, perché la nostra storia, la storia del Cosmo, noi ce l'abbiamo scritta nel DNA, anzi, è il DNA stesso la testimonianza migliore che la materia del nostro corpo racconta una vita vecchia di 13,8 miliardi di anni, sebbene la nostra mente riesca a ricordarne solo poche decine. 

giovedì 17 settembre 2015

Signori, benvenuti su Plutone!

Proprio pochi giorni fa la NASA rilasciò alcune tra le migliaia di fotografie scattate da New Horizons nel suo avvicinamento a Plutone e già quelle ci sembrarono spettacolari quanto a bellezza estetica, nonché per il grande contenuto scientifico.
Ora, con una nuova serie di immagini appena rilasciate, tutti i mirabolanti aggettivi usati per descrivere la straordinaria bellezza di quel luogo remoto devono essere moltiplicati per 10, 100 o forse 1000.

Nessuno, neanche i tecnici della NASA che hanno lavorato alla missione da molto prima della partenza, si sarebbe aspettato un tale paesaggio di fronte ai loro occhi.
Le nuove immagini, scattate proprio in concomitanza con la minima distanza di New Horizons da Plutone, mostrano dei suggestivi ingrandimenti di una delle tante aree interessanti di Plutone. Il panorama mostrato non è solo una miniera di informazioni per astronomi e geologi, ma a mio modesto avviso rappresenta anche una delle immagini più belle dell'intera esplorazione spaziale.

Pensiamoci un attimo: un'astronave sorvola un corpo celeste che orbita a oltre 4,5 miliardi di chilometri dalla Terra, in una regione di spazio dove la temperatura massima è di -230°C e il Sole di mezzogiorno fa la stessa luce che c'è qui latitudini un'ora dopo il suo tramonto.
In questa zona oscura, ai confini del Sistema Solare, dopo quasi 10 anni di viaggio, un manufatto umano alimentato con qualche chilogrammo di plutonio si è spinto dino a 15 mila chilometri da Plutone, superandolo poi a una velocità di decine di migliaia di chilometri l'ora. Come se tutto questo non bastasse a far venire i brividi, ecco cosa ha visto questa impavida ambasciatrice della nostra specie:

Benvenuti su Plutone

Può sembrare un comune paesaggio artico ma non lo è. Quelle enormi montagne sono probabilmente immensi blocchi di ghiaccio d'acqua che si sono innalzati dalle soffici pianure composte da altri gas ghiacciati, probabilmente azoto. La timida luce solare getta delle drammatiche ombre e illumina debolmente il cielo grazie alla diffusione dovuta alla tenue atmosfera di Plutone.

Guardiamo questa foto e le altre e soffermiamoci un attimo, isolandoci da tutti quei noiosi problemi della nostra esistenza, e gioiamo del grande dono che abbiamo. Tra mille difficoltà, ingiustizie, problemi e mancanze che affliggono il nostro mondo, lassù, ad appena 100 chilometri sopra le nostre teste, si apre l'Universo vero, il luogo nel quale abitiamo e che con tante difficoltà abbiamo iniziato a esplorare. Guardiamo questa foto e gioiamo orgogliosi, almeno una volta ogni tanto, del grande cammino che abbiamo fatto come specie nella nostra travagliata, ma straordinaria, storia.

Ammiriamo esterrefatti le montagne di ghiaccio di Plutone e le imprese incredibili che sono servite per arrivare sin lì, per trovare la forza dentro di noi di dare il giusto senso alla nostra esistenza, ai piccoli problemi della vita e ad affrontare più determinati che mai questa straordinaria possibilità che capita molto, molto raramente: essere coscienti dell'intero Universo, poterlo guardare e comprendere. Sulla Terra, tra miliardi di miliardi di esseri viventi, sono 7 miliardi hanno questo dono. Che sia questo, alla fine, l'unico scopo della nostra vita? Se l'Universo non avesse voluto essere contemplato e capito, non avrebbe avuto bisogno di creare noi, e nulla sarebbe cambiato nel suo perfetto funzionamento. Siamo superflui per far funzionare il Cosmo, ma siamo di inestimabile valore quando si tratta di comprenderlo.

Il mio primo Saturno e l'amore per l'astronomia



Non riesco a ricordare in che modo riesplose in me la voglia di astronomia, forse solo a causa del bel tempo e delle serate trascorse a casa dei miei nonni, dove le stelle brillavano più intense e dove avevo trascorso ogni giorno dei miei primi 13 anni di vita.
Credo che in ogni persona la visione di un cielo scuro, in una calda e limpida serata estiva, lontano dalle luci artificiali, in compagnia del profumo dei fiori e del sapore unico che solo l'estate può dare, riesca a risvegliare la nostra parte ancestrale, il desiderio innato di voler conoscere e scoprire il mondo che ci circonda. Farci domande è ciò che ci ha guidato fuori dalle caverne, fin sulla Luna; spesso crediamo di non averne il tempo, la forza, il diritto perché immersi in problemi ben più grandi della vita di tutti i giorni. Purtroppo ci dimentichiamo che l'Universo e il cielo sono la vita di tutti i giorni, il contesto nel quale siamo nati e cresciuti come specie. È tutto il resto, artificiale, ipocrita e spesso senza senso, riassunto in una parola: “società”, che è venuto dopo e in un certo senso ha corrotto il nostro spirito e la nostra anima.
Tutto ciò che ci ha spinto a costruire il tessuto economico e sociale di oggi, e che ci permette di avere vite molto più agiate dei nostri antenati, è anche ciò che ci ha allontanato dallo spirito di scoperta e curiosità che ha innescato questo cambiamento unico tra tutte le specie della Terra.
Non facciamo l'errore di pensare di non aver tempo per sognare, per immaginare, per osservare il cielo, perché queste sono tutte attività fondamentali per il nostro benessere economico e soprattutto dell'anima, alla ricerca di quella parola: felicità, che dovrebbe essere l'obiettivo di ogni essere umano. E la felicità non è di certo scegliere il locale in cui ubriacarsi il sabato sera o la persona da rimorchiare per passare un paio di minuti in balia degli ormoni. Felicità è sinonimo di uno stile di vita, di un progetto, di voglia di vivere, diventando noi stessi i comandanti della nostra esistenza, non subendola passivamente come spesso, troppo spesso, accade.

Il mio primo Saturno arrivò allora per caso, durante la mia prima estate da vero astronomo dilettante, nella quale, con un astrolabio preso da un'enciclopedia settimanale chiamata “L'Universo”, cercavo di trovare le costellazioni di quel cielo scuro.
Ogni tanto usavo anche il mio telescopio, ma trovare i pianeti meno brillanti non era per niente facile perché servivano mappe aggiornate.  In un mondo, il mio, senza internet, amici astrofili, programmi per computer e tantomeno cellulari, non facile. Avrei dovuto cercare stella per stella con la speranza di trovare il mio grande obiettivo: Saturno.
Erano ormai mesi che sfogliavo quella paginetta del manuale del telescopio nella quale capeggiava una splendida foto del pianeta con gli anelli e pochi consigli per poterlo osservare al meglio. Cercai spesso in quelle serate estive ma tutte le stelle continuavano a essere dei minuscoli puntini. Dov’era finito il Signore degli Anelli?
Nei primi giorni di Agosto decisi di provare a vedere come sarebbe stato il cielo della mattina prima dell'alba. Se in prima serata non ero riuscito a osservarlo, era probabile che non fosse osservabile a quell’ora; valeva la pena provare a cambiare.
Alle 4:35, orario che da quel momento in poi sarebbe stata sempre la mia sveglia per le osservazioni all'alba, del 2 Agosto 1998 mi svegliai e andai sul balcone del mio appartamento di città per vedere il cielo di quello strano momento della notte. Ora sono consapevole che quello era un cielo come tutti gli altri ma in quel momento per me qualcosa di nuovo, completamente diverso da quello che di solito si saluta prima di andare a dormire, con un'atmosfera diversa, un profumo diverso e tanti odori tipici dell'adrenalina che ci fa desiderare qualcosa così tanto sognato.

Poco prima del sorgere del Sole, con il cielo che timidamente si rischiara verso est, anche le città sembrano luoghi incantati. Tutti dormono, le macchine non creano quel fastidioso sottofondo rumoroso, la scena è tutta di quegli impavidi uccellini che hanno deciso di coabitare con l’uomo, cinguettando sugli alberi dei parchi circondati da cemento e asfalto. L’aria di solito è ferma e d’estate si sente anche un freschino che rende difficile immaginare quale inferno di rumore e caldo diventerà quello stesso luogo qualche ora più tardi.
Senza svegliare nessuno, mi abbassai fino a quasi strisciare per passare sotto la serranda della finestra della mia camera. Il movimento ginnico mi costrinse a guardare all’insù prima ancora che il resto del corpo avesse varcato la soglia. Subito vidi un cielo diverso, dominato da due astri. Il più luminoso, ormai altissimo nel cielo, era di sicuro Giove, ormai non avevo più alcun dubbio. L’altra stella, invece, a sinistra di Giove e circa alla stessa altezza, non avevo idea di cosa fosse.
In un silenzio surreale mi avvicinai al telescopio che avevo già posizionato la sera e puntai subito l’astro più luminoso per capire avevo ragione. Era proprio Giove; bellissimo, luminosissimo, con i satelliti ben visibili e brillanti, ancora più spettacolare di quanto lo ricordassi.
Ma non riuscii a godermi la visione perché il mio obiettivo era un altro e prima o poi ci sarei riuscito a trovarlo!
Senza troppo pensare  ripresi a cercare saturno con lo stesso metodo con cui non l’avevo trovato di sera: di stella in stella, a cominciare dalle più brillanti perché pensavo non fosse poi così tanto debole. Indirizzai allora il telescopio verso quell’altra stellina che, seppur molto più debole di Giove, era il secondo astro più brillante di quella porzione di cielo che potevo ammirare. Quell’operazione così normale per tutti gli appassionati di astronomia, che si ripete decine di volte ogni notte e che ormai alcuni considerano così noiosa da lasciarla fare ai computer, si rivelò per me il più importante viaggio che feci alla scoperta di me stesso e di quello che sarebbe stato della mia vita.

Pochi secondi per il resto del mondo, anni luce per me e il mio essere, mi proiettarono verso la visione più bella che ebbi mai avuto e, forse, la più bella in assoluto. Quella stella nel cielo non era una stella, era Saturno!
Con l’oculare che mi dava solo 25 ingrandimenti riuscivo già a vedere qualcosa che non mi sarei mai aspettato. Spesso ci si informa, si legge, si immagina come potrebbe essere qualcosa che si desidera vedere per così tanto tempo, ma non si può arrivare mai preparati ai grandi eventi, ed è un bene, perché regalano scariche di emozioni che niente può imitare. Vuol dire che siamo ancora capaci di emozionarci, a prescindere dall’età, da quante avventure abbiamo vissuto, da dove siamo e da quanto è stata dura la nostra vita. Siamo, ancora, esseri umani nella definizione più potente: creature coscienti in grado di provare emozioni fortissime.
Quel piccolo dischetto fluttuante nello spazio mi stregò. Restai a bocca aperta, in silenzio, come se all’improvviso il tempo fosse stato rallentato, i suoni silenziati, il mio cuore accelerato. Cambiai subito oculare arrivando al massimo che potevo, 70 ingrandimenti, e la visione me la porterò per sempre dentro di me. Anche adesso, scrivendo queste righe, io vedo la più bella foto di Saturno che abbia mai scattato e visto. Non è su carta, non è sul freddo schermo di un computer; è dentro di me ed è arricchita da una montagna di sensazioni che nessuna macchina fotografica può catturare. L’attimo, quell’attimo indescrivibile non può che essere fotografato con la mente e fissato in cima a una scatola di sensazioni che renderanno quell’esperienza unica. Unico il momento, unica l’immagine personale che ognuno di noi si terrà stretta come il più grande tesoro mai esistito.

Non so quanto tempo passò; so solo che quando riuscii per un attimo a staccarmi dall’oculare il cielo era già chiaro. Saturno, i suoi anelli, erano lì di fronte a me, a più di un miliardo di chilometri di distanza e io cercavo di far mie quelle distanze e rifiutare l’idea che il mio cervello continuava latente a suggerirmi, cioè quella di un quadro piccolo, un dipinto osservato a pochi metri di distanza.
No, la perfezione non ha bisogno di piccole dimensioni, di scale spaziali umane né della nostra mano artistica: la perfezione, la meraviglia può essere 10 volte più grande della Terra, avere anelli larghi quanto la distanza Terra-Luna, così regolari e perfetti che non si capisce come siano fatti. La perfezione, quella vera, è nell’Universo, e noi possiamo solo cercare di usare la nostra mente per provare a replicarla, attraverso l’arte, su scale più piccole. Siamo un po’ come dei miniaturizzatori: osserviamo gli enormi spazi dell’Universo, anche senza un telescopio, perché in realtà tutto ciò è già scritto nei nostri atomi, e attraverso l’arte cerchiamo di riprodurre tale bellezza, spesso ignorandone l’origine.
Quella mattina, dall’emozione svegliai mia madre e la invitai a osservare quel pianeta che si era fatto desiderare per così tanto tempo. “Mamma, l’ho trovato, vieni a vedere!” E lei, senza nemmeno una smorfia di disappunto per averla svegliata alle 5 di mattina, con il pigiama venne a condividere con me sul balcone quella visione tanto cercata, al punto che l’emozione assalì anche lei con un’espressione di meraviglia ancora ben nitida nella mia mente.

Con il Sole che ormai stava per cancellare tutto, decidemmo di tornare dentro e io provai ad addormentarmi. Ci riuscii forse solo qualche ora più tardi, quando la mia mente si placò quel tanto che bastò per decidere di farmi sognare quegli anelli così perfetti. Ce l’avevo fatta. E lo sapevo già: il mio cammino nell’astronomia era ora ufficialmente iniziato e non l’avrei mai più abbandonato. Fu proprio così.
Quel ragazzino meravigliato e sognatore avrebbe affrontato il  liceo, le prime cotte, la nascita della barba, gli amici, lo sport. Sarebbe cresciuto, anche se non tanto, in altezza, avrebbe comprato telescopi sempre più potenti, si sarebbe iscritto al corso di laurea in astronomia, abbandonando a 19 anni la propria città per andare a vivere da solo a Bologna. Si sarebbe fatto nuovi amici, avrebbe affrontato tante altre avventure, moltissime difficoltà, si sarebbe laureato, avrebbe iniziato a scrivere libri e a raccontare agli altri quanto può essere bella una vita vissuta cercando di soddisfare le proprie passioni e i propri sogni, qualunque essi siano.
L’unica paura che ogni tanto mi assale è non vivere abbastanza a lungo per tutto quello di meraviglioso che vorrei fare e vedere!

mercoledì 16 settembre 2015

Le straordinarie sorgenti idrotermali di Encelado

Nel pronunciare la parola "terme" ci vengono in mente lunghi e caldi bagni rilassanti all'aperto, magari nella stagione invernale con la neve che scende lenta sulla nostra pelle calda.
Per un ristretto gruppo di scienziati, invece, che spesso vivono letteralmente con la testa nel cielo, questa parola per un po' di tempo li aveva proiettati a più di un miliardo di chilometri dalla Terra, in un luogo che ancora rappresentava il labile confine tra la razionale realtà e un mirabolante sogno, quasi proibito, mai confermato, almeno in pubblico, ma molto spesso immaginato e sperato.

A circa un miliardo e mezzo di chilometri dalla Terra si trova un complesso sistema di corpi celesti, il cui perno è Saturno, costituito dai suoi magnifici anelli e circondato da decine di lune. Molte sono piccoli asteroidi mezzi ghiacciati poco o per nulla interessanti, soprattutto se confrontate con alcuni satelliti decisamente più intriganti.
Probabilmente avrete sentito parlare di Titano, della sua complessa atmosfera e delle sue splendide spiagge modellate da mari di metano liquido. Ne ho parlato in abbondanza anche su questo blog, per questo non mi ripeterò.

In mezzo a questa selva di lune e anelli, un piccolo manufatto umano, partito dalla Terra nel 1997 e arrivato a destinazione nel 2004, sta scorrazzando in lungo e in largo da 11 anni, cercando di carpire i segreti di questo minuscolo angolo di Universo. Dopo aver svelato la complessa natura degli anelli, mostrato la silenziosa ed elegante danza delle lune, svelato la dinamica e violenta natura dell'atmosfera di Saturno, mostrato i mari e le tempeste di Titano, ha permesso a quel ristretto gruppo di scienziati sognatori di trasformare quella forte sensazione, censurata dall'etica professionale, quel sogno proibito, in certezza.

Grazie alle analisi ottenute nel corso degli 11 anni di permanenza nel sistema di Saturno, la sonda Cassini ha fornito la prova definitiva che su un satellite che probabilmente pochi di voi avranno sentito, Encelado, esistono delle enormi sorgenti termani.

Encelado possiede infatti al suo interno un immenso oceano di acqua liquida calda, con una salinità simile a quella degli oceani terrestri, che avvolge tutto il corpo celeste e mostra arricchimenti di minerali dovuti a un'attività idrotermale. A una profondità media di circa 35 chilometri, questo oceano globale si pensa possa essere spesso 10 chilometri e di fatto contenere, in proporzione, una quantità d'acqua ben maggiore rispetto a quella degli oceani terrestri (in proporzione alla massa solida, non in termini assoluti!).

Che sotto la crosta di Encelado si nascondesse dell'acqua liquida non è una novità. Prove dirette si sono iniziate ad accumulare già nel 2005, un anno dopo l'arrivo della sonda Cassini, ma si sa che affermazioni straordinarie richiedono prove altrettanto straordinarie e una pazienza non da meno.
Ora, a distanza di 10 anni dai primi indizi, il quadro è abbastanza chiaro e ci mostra un corpo celeste che potrebbe balzare al primo posto tra i luoghi, oltre la Terra, nei quali cercare forme di vita.

Geyser d'acqua su Encelado
Le immagini della sonda Cassini, a partire dal 2005 e le successive analisi hanno infatti mostrato subito enormi getti sollevarsi dalla crosta di Encelado, in particolare nei pressi del polo sud. Le analisi confermarono che si trattava di ghiaccio d'acqua, proveniente probabilmente dalle profondità del satellite ed espulso a grande velocità con un meccanismo simile a quello dei nostri geyser. Sembrava incredibile, ma in un luogo del Sistema Solare che sperimenta temperature, al Sole, di -198°C, su un corpo celeste che non possiede alcuna atmosfera, c'era evidente traccia di acqua liquida.

Nel Marzo 2015, sempre le analisi della sonda Cassini hanno mostrato che quest'acqua non è pura e nemmeno fredda. Nei giganteschi geyser, infatti, la sonda ha rivelato minuscoli grani di roccia. Analisi e siulazioni hanno stabilito che questi granelli sono il risultato di un'intensa attività idrotermale. L'acqua nelle profondità viene riscaldata fino a 90°C e si mischia con grandi quantità di minerali presenti nelle rocce di Encelado. L'attività idrotermale è frequente sulla Terra e rappresenta un habitat ideale e stabile per tanti micro organismi.

Pochi giorni fa, infine, l'ultima novità. Fino a poco tempo fa si discuteva su quanta acqua liquida ci fosse nelle profondità di Encelado, ovvero quanto fosse esteso e profondo quell'oceano che alimentava i geyser del polo sud. Si pensava inizialmente che fosse confinato a quelle regioni, ma alla fine si è scoperto che non è così.
Analizzando in dettaglio i movimenti del satellite, gli scienziati della NASA hanno scoperto la pistola fumante che ha fatto propendere per un oceano globale. Il termine tecnico è librazione, ma detto in questi termini non comunica molto.
Osservando attentamente 7 anni di immagini in alta risoluzione, gli astronomi della NASA si sono accorti che oltre alla classica rotazione attorno al proprio asse, la superficie di Encelado oscilla periodicamente un po' più avanti e un po' più indietro. Questo è l'effetto della librazione, che possiamo vedere anche con la nostra Luna. Bene, calcoli alla mano (e qui dobbiamo fidarci!), gli scienziati hanno capito che l'oscillazione della crosta di Encelado è troppo marcata per essere prodotta da un unico corpo rigido in rotazione. Simulazioni alla mano, se tra il nucleo di Encelado e la crosta si inserisce un oceano d'acqua, si ottiene l'effetto osservato. La crosta galleggia letteralmente sull'oceano liquido ed è distaccata dal nucleo del satellite molto più massiccio. L'acqua è un buon lubrificante, quindi di fatto separa bene la sottile crosta dal resto solido del satellite. L'effetto netto è quindi ben comprensibile: la crosta è molto poco massiccia, quindi ben più mobile dell'interno, che invece è molto più massiccio e oscillerebbbe di meno. Se Encelado fosse stato "un pezzo unico" l'effetto della librazione sarebbe stato molto più ridotto di quanto osservato. Di conseguenza, l'unica spiegazione plausibile per questo comportamento è che l'oceano sottostante debba ricoprire tutto il satellite.


Terme su Encelado
Da dove proviene l'acqua dei geyser di Encelado? E perché è liquida? Chi la riscalda?
La risposta (al momento parziale) si può trovare nella sua posizione all'interno del sistema di Saturno. In orbita a soli 180 mila chimometri dalla sommità delle nubi del gigante gassoso, il piccolo satellite, di soli 500 km di diametro, sperimenta enormi forze mareali da miliardi di anni. Se sulla Terra la Luna, 81 volte meno massiccia del nostro pianeta, è sufficiente per innalzare il livello dei mari di più di 10 metri e persino deformare la crosta rocciosa, immaginate cosa può succedere a un corpo celeste che si trova a 180 mila chilometri da un pianeta 95 volte più massiccio della Terra e 7500 volte più della Luna.

Le maree che sperimenta Encelado sono quindi violentissime e in grado di generare, per attrito, grandi quantità di calore all'interno del satellite a causa del continuo stiramento che subiscono le rocce. Questo è, probabilmente, il calore che da miliardi di anni permette al satellite di possedere abbastanza energia per trasformare il ghiaccio d'acqua in acqua liquida sotto la superficie, grazie anche alla pressione che gli strati superficiali esercitano su questo strato (da ricordare infatti che per avere acqua liquida servono temperature e pressioni giuste, non basta solo uno dei due fattori!).
L'acqua liquida si scalda e si arricchisce di minerali in alcuni punti geologicamente più attivi di altri, proprio come succede nelle profondità oceaniche della Terra.
Compressa dalla crosta sovrastante, cerca di farsi strada tra le strette fessure, proprio come sulla Terra il magma cerca di insinuarsi in ogni spaccatura per poter arrivare in superficie. Risalendo verso la superficie a grande velocità, alla fine viene proiettata nello spazio aperto, una zona in cui la temperatura precipita a -198°C e la pressione va a zero. L'acqua congela quindi all'istante formando miliardi di finissimi cristalli di ghiaccio che si innalzano per centinaia di chilometri. Molta di quest'acqua ghiacciata lascia per sempre Encelado e va ad alimentare gli splendidi anelli di Saturno; una parte ricade sotto forma di neve, imbiancando e ringiovinendo la brillante superficie del satellite.


In realtà questo meccanismo dovuto alle maree non è per niente chiaro, ancora. In particolare, non si resce a giustificare in modo adeguato la provenienza del calore immenso che serve per mantenere liquida l'acqua dell'oceano di Encelado, né come si formino questi presunti punti caldi che generano le sorgenti idrotermali.

Al di là di delle questioni riguardanti i meccanismi di riscaldamento di Encelado, la domanda che senz'altro interessa più di tutte è: ci sarà vita in questo oceano liquido?
La risposta è: non lo sappiamo. Dobbiamo imparare a separare le senzazioni e i desideri da quello che è la nostra conoscenza della realtà. Attualmente su Encelado potrebbe esserci di tutto ma di prove non ne abbiamo.

Possiamo provare a dare una linea guida sobria e verosimile; un punto di vista plausibile con le nostre conoscenze attuali che sono però lungi dall'essere complete (quindi, mi raccomando, prudenza!). Sappiamo allora che l'acqua liquida è, sulla Terra, sinonimo di vita, soprattutto se ricca di minerali. Conosciamo molte sorgenti termali sottomarine dove la vita non solo ha prosperato ma è anche riuscita a sopravvivere a situazioni molto ostili che invece l'hanno cancellata a più riprese in altri luoghi in apparenza migliori. Questo ci fa ben sperare e di certo al momento Encelado è il luogo migliore nel quale sognare di trovare qualche semplice forma di vita, e forse anche il più facile su cui poter fare indagini. Al contrario di Europa, satellite di Giove che possiede anch'esso un grande oceano liquido sotto la crosta, se l'oceano di Encelado pullulasse di forme di vita queste verrebbero espulse dalle centinaia di geyser scoperti dalla sonda Cassini. Non sarebbe quindi necessario scavare un impossibile buco profondo decine di chilometri per capire cosa ci sia lì sotto, ma analizzare la nuvola ghiacciata che si libera nello spazio. E questa, al momento, è quell'insperata prospettiva, attuabile anche con la nostra tecnologia, che ci farà sognare a occhi aperti il giorno in cui un uomo o, meglio, una sonda automatica, si poserà su questo sorprendente corpo celeste e tenterà di dare la risposta alla domanda più antica di sempre, il sacro Graal della scienza e, forse, della nostra intera esistenza. Rispetto a 10 anni fa, ora la risposta sembra essere molto più vicina, nello spazio e nel tempo, di quanto si potesse immaginare.


Per approfondire: https://www.nasa.gov/press/2015/march/spacecraft-data-suggest-saturn-moons-ocean-may-harbor-hydrothermal-activity/
http://www.jpl.nasa.gov/news/news.php?feature=4718

lunedì 14 settembre 2015

Che cos'è il plasma?



Il plasma è il quarto stato di aggregazione della materia.
Dalle nostre esperienze probabilmente conosciamo i classici tre: solido, liquido e gassoso. Molto raramente avremmo sentito parlare di plasma, per un semplice motivo: sulla Terra è molto raro.
Eppure oltre il 99% della materia dell’intero Universo si trova in questo particolare stato di aggregazione! Tutte le stelle sono fatte di plasma, buona parte delle nebulose e tutto lo spazio interstellare e intergalattico è popolato da plasma, seppur estremamente rarefatto.

L’ingrediente fondamentale per creare lo stato di plasma sono altissime temperature.
Mano a mano che un pezzo di materia qualsiasi viene riscaldato diventa prima liquido, poi gassoso. Continuando il riscaldamento a un certo punto la grande energia termica fa spezzare i legami molecolari, trasformando il gas in un miscuglio di singoli atomi.
Aumentando ancora la temperatura, l’energia somministrata al gas atomico è così grande da spezzare anche i legami tra nuclei atomici ed elettroni. Abbiamo raggiunto lo stato di plasma: un gas qualsiasi composto da nuclei atomici positivi ed elettroni, negativi, che non riescono più a legarsi.

Le proprietà del plasma sono particolari. Prima di tutto emette luce, meglio, radiazione elettromagnetica, tanto più intensa quanto maggiore è la sua temperatura.
Poi il plasma, essendo composto da particelle con una carica elettrica, è molto sensibile all’influenza dei campi magnetici.
Se potessimo immergere una potente calamita in una piccola quantità di plasma, vedremo il gas muoversi e a disporsi secondo delle linee ordinate, chiamate linee del campo magnetico.
Un fulmine è plasma
L’esperienza è simile a quella che ogni insegnante di fisica ha proposto, almeno una volta, ai propri alunni utilizzando un magnete e la limatura di ferro.
La polvere di ferro è così leggera che sente il campo magnetico e si dispone in modo piuttosto ordinato intorno alla calamita, facendo vedere le linee del campo magnetico.

Sebbene su scala estremamente più grande, il plasma si comporta in modo simile. Per notarlo basta osservare il Sole durante le sue eruzioni, dette anche brillamenti, e vedere come le fontane di gas espulse dalla superficie somiglino a perfette trame cosmiche modellate dal campo magnetico.

Sulla Terra il plasma esiste ma va cercato attentamente perché, fortunatamente per la nostra vita, rappresenta una componente trascurabile dell’atmosfera.
La bianca luce prodotta da un fulmine è l’esempio più evidente di plasma. La forte scarica elettrica proveniente dalle nubi riscalda l’aria circostante fino a due milioni di gradi, facendola diventare per breve tempo plasma, che poi è il responsabile dell’emissione della tipica luce bianco-azzurra del lampo.

In realtà ogni scarica elettrica produce, per un tempo brevissimo, del plasma, compresa quella dei comuni accendigas. Anzi, è la scarica elettrica in sé che si rende visibile perché l’aria si ionizza diventando plasma e mostrando il piccolo arco elettrico azzurro.
Qualsiasi materiale può diventare plasma, dall’idrogeno al ferro: basta solamente raggiungere la temperatura adatta.

giovedì 10 settembre 2015

Nuove spettacolari immagini da Plutone!

New Horizons, la sonda della NASA che il 15 Luglio scorso ha effettuato il primo passaggio ravvicinato della storia al pianeta nano Plutone, si trova ora a oltre 70 milioni di chilometri di distanza e si dirige verso il suo nuovo obiettivo, un corpo celeste remoto, facente parte della fascia di Kuiper, denominato 2014 MU69, distante circa un miliardo e mezzo di chilometri oltre l'orbita di Plutone. Questo nuovo corpo celeste, scoperto ben più tardi della partenza della sonda dalla Terra (e questo è un altro record), verrà avvicinato nel Gennaio 2019. Nel frattempo l'attesa sarà riempita con la ricezione dell'enorme mole di dati e immagini ottenuti durante il passaggio ravvicinato con Plutone.

Proprio oggi sono state rilasciate alcune spettacolari immagini di quello che si è rivelato subito essere un corpo celeste ben più complesso e spettacolare di quanto chiunque potesse immaginare.
Le nuove immagini mostrano una superficie solcata da montagne e dune, probabilmente fatte di ghiaccio d'acqua, l'unico materiale che può costruire rilievi data la sua estrema compattezza. Il ghiaccio d'acqua su Plutone potrebbe svolgere un ruolo simile a quello del magma che esce dai vulcani terrestri: nelle profondità è liquido, esce dalle spaccature della crosta e riesce a costruire imponenti montagne (al momento si tratta però solo di congetture).

Ma limitarsi a parlare delle strane montagne, fatte forse di ghiaccio, sarebbe riduttivo per un corpo celeste davvero sorprendente. Ecco allora affiorare valli scavate da chissà cosa, scarpate, flussi di azoto ghiacciato che dalle montagne si riversano nelle pianure sottostanti, monti isolati che si pensa siano degli immensi blocchi di ghiaccio d'acqua che in pratica galleggiano su una crosta soffice di ghiaccio d'azoto. Insomma, siamo davvero di fronte a qualcosa che nessuno si aspettava, che rivoluziona molte delle nostre conoscenze sulla geologia planetaria e ci getta verso un mondo tutto da scoprire, senza smettere mai di meravigliarci.

Alla fine è anche questo il bello dela scienza e dell'esplorazione: per quanto possiamo essere preparati, anche noi astronomi, ci saranno sempre delle sorprese che ci faranno restare a bocca aperta e ci proietteranno un po' oltre il confine che avevamo tracciato poco tempo prima, con sudore e tanta fatica. E continuare a meravigliarsi di questo incredibile Universo è il modo migliore per dare un senso a questa straordinaria vita.




Un'immagine a lunga posa mostra una debole illuminazione oltre il terminatore: questa è una prova diretta della diffusione della luce solare provocata dalla tenue atmosfera di Plutone
L'atmosfera di Plutone vista in "controluce". A sinistra un'immagine quasi grezza, a destra un'elaborazione finalizzata a evidenziare le deboli strutture. Si possono notare diversi livelli di foschia, forse deboli e tenui nubi.
Per approfondire: http://www.nasa.gov/feature/new-pluto-images-from-nasa-s-new-horizons-it-s-complicated

Cosa si prova in assenza di gravità?



Se il moto orbitale produce come effetto la scomparsa della forza di gravità sentita dagli astronauti a bordo, perché sono in caduta libera praticamente eterna, allora non è poi così difficile capire cosa di debba provare nello spazio. 

La sensazione, non proprio piacevole, somiglia molto a quella che si sente su un ottovolante che precipita verso il suolo, su un aereo in picchiata o nei primi secondi di un lancio dal paracadute o da un ponte (naturalmente con un elastico che ci impedisca di schiantarci in terra!). In altre parole, l’assenza di gravità provoca quella sensazione di stomaco in gola e mancanza momentanea di respiro che tanto ci fa divertire e spaventare sulle montagne russe.
Non c’è quindi da stupirsi se diversi astronauti, soprattutto nei primi giorni di missione, avvertano nausee e giramenti di testa, il cosiddetto mal di spazio.

In effetti, non dovrebbe essere proprio piacevole convivere per giorni o mesi con queste sensazioni, ma, personalmente, per osservare il nostro pianeta a bordo della stazione spaziale internazionale, o per una futura missione verso Marte, potrei benissimo sopportare il mal di spazio!

Presso alcuni centri di addestramento degli astronauti o presso strutture specializzate per il pubblico, è possibile sperimentare l’effetto dell’assenza di gravità, volando a bordo di uno speciale aereo che raggiunti i 10.000 metri viene fatto scendere in picchiata, in volo parabolico, per al massimo 30 secondi.
In questa frazione di tempo, l’effetto è esattamente quello dell’assenza totale di gravità: si può galleggiare, nuotare, fare capriole in aria e, ovviamente, capire se il volo spaziale è sopportato dal nostro fisico!

lunedì 7 settembre 2015

Quante stelle si possono osservare nel cielo?



La domanda ha molte possibili risposte.
Se ci riferiamo al numero di stelle effettivamente osservabili nel cielo, dobbiamo fare i conti con una forma di inquinamento poco conosciuta, ma altrettanto dannosa: l’inquinamento luminoso.
Ogni stella, anche la più splendente, a causa dell’enorme distanza appare estremamente più debole di qualsiasi lampadina. Di conseguenza, l’elevatissima quantità di luci artificiali spegne letteralmente il cielo, facendolo somigliare a un luogo noioso e ben diverso dallo spettacolo che in realtà si dimostra essere.

L’inquinamento luminoso è il testimone più evidente dell’enorme spreco energetico della nostra società: tutta la luce diretta verso il cielo, infatti, oltre a spegnere le stelle, si perde nello spazio, non illuminando assolutamente nulla, se non l’aria.
L’Italia in questo ambito detiene un triste primato: è la nazione al mondo, probabilmente a pari merito con il Belgio, che spreca maggiori risorse per illuminare il cielo.
Uno sguardo dalla stazione spaziale internazionale ci rivela in modo molto evidente come il nostro Paese sia di gran lunga il più illuminato.
La conseguenza più grave è sorprendente quanto deprimente: in Italia non esiste più un luogo dal quale ammirare un cielo non disturbato dalle luci artificiali.

Il numero di stelle effettivamente visibili a occhio nudo, quindi, varia tra le poche decine dei grandi centri abitati, alle poche migliaia dei luoghi più scuri, ma che non saranno mai perfettamente bui.
Da un cielo non contaminato dalle luci artificiali, il numero di stelle che è possibile vedere a occhio nudo può superare le 5000.
Con un piccolo telescopio, il valore aumenta esponenzialmente, superando abbondantemente il milione.
Se questo numero sembra astronomico è ben poca cosa rispetto alla quantità di stelle effettivamente presenti nella nostra isola di stelle, la Via Lattea.
Recenti studi affermano che il numero di astri possa essere compreso tra 200 e 400 miliardi.
Ogni galassia dell’Universo possiede in media circa 100 miliardi di stelle. Quale sarebbe il numero di stelle di tutte le galassie esistenti?

giovedì 3 settembre 2015

La mineral Moon: i colori sono veri, o no?

Molti lettori si sono spesso chiesti se le immagini della Luna che nel passato ho postato sotto il nome di "mineral Moon", lettereralmente Luna minerale, fossero vere o no. Su alcuni forum si è accesa la discussione liquidando le mie foto come false. Ma, esperienza insegna, non c'è peggior consiglio sulla fotografia astronomica di quello dato un fotografo (professionista o amatoriale) che non è abituato a capire i fenomeni fisici dietro una fotografia astronomica ma ha, purtroppo, l'arroganza di valutare la realtà solo in base alla sua limitata conoscenza delle tecniche fotografiche (e non dell'astronomia).

Bene, veniamo a noi rinfrescandoci la mente. Le seguenti foto mostrano una Luna con colori molto diversi da quelli che vediamo.






Perché questi colori? E sono reali anche se non li vediamo con i nostri occhi?
Il primo errore che si fa è considerare reale solo quello che gli occhi riescono a vedere. Questi sono strumenti formidabili per farci sopravvivere ma sono del tutto inaffidabili per indagare a fondo la realtà. Volete un esempio? Bene, di che colore vedete le ali della nebulosa di Orione nella foto sottostante?
 

Se la vostra risposta è rosa, arancio, giallo o qualsiasi colore diverso dal grigio, vi siete sbagliati.

Abbiamo imparato una importante lezione: la realtà non sempre è quella limitata e a volte ingannevole che ci mostrano i nostri occhi, altrimenti noi astronomi non avremmo neanche inventato telescopi potenti e macchine fotografiche super sensibili.

Torniamo allora alla nostra foto. Ci sono due modi per capire se il metodo con cui è stata ottenuta è corretto e quindi porta a risultati che, sebbene invisibili a occhio nudo, corrispondono effettivamente alla realtà.
Il primo metodo si basa sulla filosofia stessa di fotografia astronomica, che è ben diversa dalla fotografia artistica. Chi fa fotografia astronomica raccoglie ed elabora dati scientifici e non dovrebbe creare capolavori artistici tipici di chi invece interpreta la realtà con la fotografia naturalistica. In altre parole, tutte le fotografie che ho mostrato sono state ottenute mediando decine di immagini scattate al fuoco di un telescopio con una reflex digitale, riprendendo in formato raw e intervenendo, in elaborazione, unicamente su due impostazioni: dapprima si è bilanciato il bianco in modo da correggere la tonalità dominante giallastra della luce lunare, dovuta alle proprietà della luce riflessa dal Sole e dalla nostra atmosfera. In questo modo togliamo di mezzo qualsiasi effetto non intrinseco alle eventuali proprietà del suolo lunare. E' un processo valido scientificamente, purché sia fatto bene.
A questo punto l'unica cosa rimasta da fare è aumentare la saturazione dei colori, in modo identico per tutti e tre i canali colore, e gradualmente, fino ad arrivare al limite in cui i colori diventano saturati e/o compaiono gli artefatti dovuti alla camera di ripresa. Nient'altro: nessuna correzione selettiva né zonale, né tantomeno alcun filtro di contrasto o di colore. Questo, quindi, è un metodo che non altera nemmeno le diverse tonalità ma enfatizza solo quello che è stato catturato. E' sufficiente ciò per dire con ragionevole certezza che la foto mostrerà sempre colorazioni reali? Naturalmente no, servono altre conferme, perché potremmo aver enfatizzato delle differenze di colori che dipendono dalla scarsa qualità del sensore del dispositivo usato per la ripresa.

Un'altra conferma, allora, arriva da uno dei cardini del metodo scientifico, che è utilissimo anche e soprattutto nell'affrontare la realtà di tutti i giorni: la ripetibilità. Se i dettagli che vediamo sono artefatti del sensore, non si ripeteranno mai uguali in due riprese ottenute in serate differenti. In altre parole: se quei colori sono davvero della Luna, li posso riprendere quante volte voglio, con qualsiasi strumentazione che sia idonea allo scopo. Ecco allora che un bel confronto con le mie foto ci mostra una corrispondenza elevatissima, nonostante siano state scattate a distanza di un anno, con strumenti ben differenti (a sinistra un telescopio da 35 cm, a destra uno da 23 cm) ed elaborate in modo indipendente. A parte qualche naturale differenza nella quantità di saturazione dei colori e nel loro bilanciamento, le zone rosse e blu corrispondono in modo perfetto tra di loro.



Se non siamo ancora convinti, possiamo girare il web e scrivere dapprima le parole "Mineral Moon" per trovare centinaia di riprese amatoriali che mostrano circa le stesse sfumature di colore. Se vogliamo esagerare, possiamo scrivere anche "Mineral Moon Galileo" e scoprire, con una certa sorpresa e soddisfazione, che questo metodo non l'ha di certo inventato quel poveraccio che sta scrivendo questo post, ma è stato usato addirittura nei primi anni 90 niente di meno che dalla NASA, che fece fotografare i veri colori della Luna dalla sonda Galileo che si sarebbe poi diretta verso Giove.



Direi a questo punto che il nostro processo di acquisizione, elaborazione e validazione dei dati sia piuttosto forte. Il metodo non altera il peso dei singoli canali né la loro tonalità, è ripetibile e mostra colori compatibili con quanto si vede in giro anche da sonde automatiche. Detto questo, spero di aver ben chiarito che i colori che si fotografano con la tecnica della "mineral Moon" siano assolutamente reali, anche se il nostro occhio non li vede. Facciamoci una ragione: siamo molto lontani dall'essere creature perfette e infallibili con il solo aiuto dei nostri sensi, per questo abbiamo inventato la scienza!

In conclusione, mi piace ricordare cosa significano questi colori, che seppur reali ancora non ho detto da cosa siano prodotti. Non c'è problema, la spiegazione è semplice. Il suolo lunare non ha la stessa composizione chimica ovunque, come qui sulla Terra il suolo australiano, rossissimo, appare ben diverso dalle rosate distese sabbiose del deserto del Sahara. I diversi colori, quindi, indicano differenti composizioni chimiche. Certo, la precisione nel determinare gli elementi prevalenti non è elevatissima ma possiamo dire, ad esempio, che le zone rosse sono povere di ferro e in generale più antiche, mentre quelle blu rivelano zone ricche di titanio. Chissà che un giorno anche queste nostre foto non servano ai primi minatori lunari come indicazione su dove trovare maggiori quantità dei minerali che cercheranno di estrarre!