giovedì 30 marzo 2017

Le infernali condizioni del sistema planetario TRAPPIST-1

L’annuncio della scoperta di 7 pianeti rocciosi attorno alla stella nana rossa TRAPPIST-1, di cui tre nella fascia di abitabilità, quindi potenzialmente in grado di ospitare acqua liquida in superficie, ha fatto il giro del mondo e ha regalato generosi sogni a tutti gli appassionati. La cassa di risonanza dei mass media ha amplificato fino all’esasperazione delle presunte caratteristiche che nessuno, nella comunità scientifica, aveva in realtà citato. Ecco allora che i primi lanci di agenzia parlavano di pianeti gemelli della Terra, simili in tutto e per tutto al nostro pianeta, sui quali la vita era considerata un fatto ormai scontato. Le agenzie di viaggio di mezzo mondo erano già pronte a staccare impossibili biglietti per le prossime vacanze estive a prezzi stracciati, comodamente seduti all’interno di un’astronave che avrebbe impiegato appena 700 mila anni per arrivare.

Rappresentazione artistica (e ottimistica) del sistema TRAPPIST-1
Se sognare è lecito e a volte persino necessario, non dobbiamo mai dimenticare però che la realtà spesso è ben diversa da quella raccontata da molti mezzi di informazione. Che quel sistema avesse poco o nulla in comune con la Terra era già evidente, a cominciare da ciò che davvero conoscevamo di quei lontani mondi: il raggio, una rozza stima della massa, la distanza orbitale dalla stella madre e il periodo di rivoluzione. Non si sapeva molto altro, ma tanto bastava per escludere una forte somiglianza con la Terra: i 7 pianeti, infatti, ruotano attorno a una stella poco più grande (in dimensioni) di Giove, 8 volte più piccola del Sole e 12 volte meno massiccia. I periodi di rivoluzione variano da poco più di un giorno per il più interno a un paio di settimane per quello più esterno (18 giorni per la precisione) e sono tanto vicini gli uni agli altri che dalla superficie di uno di questi si possono vedere i dischi degli altri, come se nel nostro cielo ci fossero altre sei lune. Di quel sistema l’unica cosa simile alla Terra sono le dimensioni dei pianeti e il fatto che alcuni di questi orbitano a una distanza dalla propria stella che permette di ricevere circa la stessa quantità di energia di quella che qui riceviamo dal Sole: nient’altro. Da qui a gridare alla vita ce ne vuole, anche perché, tutti lo sapevano, la stella attorno alla quale orbitano è una nana di classe M8, che tradotto dal linguaggio astronomico significa un oggetto molto particolare e irrequieto.

Le nane rosse, le stelle più piccole e meno brillanti dell’Universo, sono infatti note per essere astri molto instabili a causa dei forti e complessi campi magnetici che sono in grado di scatenare potenti brillamenti, esplosioni superficiali che scagliano nello spazio enormi quantità di radiazioni elettromagnetiche molto pericolose, come i raggi X e UV, e particelle subatomiche estremamente energetiche. La nana rossa del sistema TRAPPIST-1 ha solo mezzo miliardo di anni, quindi è estremamente giovane: questo non deponeva già a favore di una sua stabilità e ora ne abbiamo le prove.

Un gruppo di ricerca ungherese ha studiato infatti il comportamento della stella analizzando i dati fotometrici del telescopio spaziale Kepler e ha pubblicato un interessante articolo (attualmente in revisione presso la rivista Astrophysical Journal) che ben delinea l'inquietante scenario a cui sono sottoposti i sette pianeti del sistema TRAPPIST-1. Ebbene, possiamo definitivamente moderare l’entusiasmo, perché ora abbiamo le prove di quello che un po’ tutti pensavano.
La piccola nana rossa è infatti una stella estremamente instabile. Analizzando la sua luce in funzione del tempo, i ricercatori hanno scoperto l’esistenza di grosse macchie, simili, ma più estese, di quelle solari e la presenza di decine di potenti e complessi brillamenti, che avvengono con una cadenza anche di poche ore l’uno dall’altro. La potenza di queste esplosioni è paragonabile a quella dei più potenti flare di cui è capace il Sole, tra cui il famoso evento Carrington, che nel diciannovesimo secolo ha regalato aurore quasi fino all’equatore e causato molti problemi alla giovane linea telegrafica degli Stati Uniti. Stiamo parlando di eventi che possono rilasciare un’energia fino a 10^33 erg, pari a quella di un miliardo di bombe Zar, l’arma nucleare più potente e distruttiva mai concepita dall’essere umano. Poiché i pianeti di TRAPPIST-1 orbitano dalle 10 alle 100 volte più vicini alla stella rispetto alla Terra, i brillamenti stellari scatenerebbero tempeste magnetiche migliaia di volte più intense rispetto alle più potenti che hanno colpito il nostro pianeta. Non sappiamo quali sono le caratteristiche di questi pianeti, ma siamo perfettamente coscienti che se la Terra si trovasse al posto di uno qualsiasi di loro verrebbe sterilizzata e privata dell’atmosfera in breve tempo. A questo punto, allora, c’è solo da augurarsi che questi corpi celesti non siano davvero intrinsecamente simili alla Terra, altrimenti il loro destino sarebbe già stato scritto da milioni di anni e non sarebbe di certo favorevole allo sviluppo della vita come la conosciamo.  

La curva di luce della stella TRAPPIST-1 mostra improvvise impennate scatenate da imponenti flare che ne aumentano di oltre tre volte la luminosità.

Quanto devono essere diversi questi pianeti per poter resistere all’esuberanza della loro stella?
Solo un forte campo magnetico può schermare le atmosfere planetarie ed evitare una rapida erosione, come accaduto per Marte, ma questo dovrebbe essere migliaia di volte più potente di quello della Terra. In un sistema che potrebbe essere bloccato dalle forti forze mareali, ovvero in cui i periodi di rotazione dei pianeti dovrebbero coincidere con quelli di rivoluzione, tutti superiori al giorno terrestre, si fatica a capire come questi pianeti abbiano potuto creare un campo molto più intenso del nostro e mantenere un’atmosfera stabile. 

Come se non bastasse, le enormi esplosioni di questa stella ne aumentano la luminosità e questo implica che l’energia che ricevono i pianeti varia sensibilmente nel tempo. La zona di abitabilità, quindi, non avrebbe un confine netto e potrebbe variare di milioni di chilometri, facendo entrare e uscire di continuo i tre pianeti per noi più interessanti. Se anche ci fosse lo scudo magnetico a proteggere l’atmosfera dall’erosione da parte delle particelle cariche scagliate durante i brillamenti, cosa potrebbe garantire la stabilità atmosferica quando l’energia ricevuta può cambiare anche di tre volte in breve tempo? La risposta è sconsolante: niente. Il tempo di assestamento di un’atmosfera simile a quella terrestre, dopo che viene alterata da una potente esplosione stellare, è di qualche migliaio di anni, ben maggiore della frequenza dei flare più violenti registrata su TRAPPIST-1. La conseguenza è quindi inevitabile: le atmosfere di questi pianeti, qualora fossero presenti (cosa non scontata), sarebbero estremamente instabili e non favorevoli all’evoluzione della vita, che a prescindere dalle condizioni di cui necessita per nascere richiede una forte stabilità ambientale per evolversi, un ingrediente che manca del tutto in ognuno di questi sette pianeti. 
Lo scenario più probabile è la totale apocalisse: nessuna atmosfera attorno ai corpi celesti, superficie completamente sterile e solcata magari da grandi vulcani e imponenti colate laviche, come accadeva sulla giovane Terra: quanto di più lontano possa esserci per lo sviluppo e l'evoluzione di qualsiasi forma di vita.

Molti saranno rimasti delusi, ne sono certo, perché la nostra latente solitudine cosmica ha bisogno di essere colmata cercando qualcosa di familiare nell’immensa oscurità dell’Universo. In un luogo tanto vasto, tanto alieno, tanto al di là della nostra esperienza, al punto che spesso è più facile dimenticare che provare a immaginare, trovare un altro mondo simile al nostro rappresenterebbe quell’irrazionale sollievo al peso sempre maggiore della consapevolezza. Ma l’Universo non è fatto a nostra immagine e somiglianza e la sua vera bellezza è proprio l’eccezionale varietà di situazioni e fenomeni straordinari, molti dei quali difficili da immaginare finché non vengono scoperti. Cercare pianeti con la morbosa ossessione di trovare un qualsiasi appiglio che ci faccia sentire meno soli nell’Universo, rappresenta la trasposizione cosmica di quell’impaurito viaggiatore che esce per la prima volta dal proprio paese e, invece di immergersi nella cultura del luogo che sta visitando, si rifugia disperato nel primo ristorante italiano che trova lungo la strada, che di italiano, poi, ha solo il nome e ben poco altro. Lasciamo da parte le ancestrali ossessioni e concentriamoci, invece, nell’esplorare un luogo tanto alieno e altrettanto spettacolare, altrimenti rischieremo seriamente di rovinarci il viaggio più bello, lungo, libero e meraviglioso della nostra storia.